sabato 28 luglio 2012

La religione vudù

 Se prima ho parlato delle popolazioni precolombiane della Mesoamerica, ora non mi voglio discostare troppo da questa zona geografica, ma fare un salto temporale di un bel po' di secoli, da dopo la Conquista in poi.
 Il nostro viaggio culturale oggi farà tappa ad Haiti, stato situato nel mar dei Caraibi e sede di una delle pratiche rituali più misteriose in assoluto: il vudù o, se vogliamo dirla all'inglese, voodoo.

 La parola deriva da un termine della lingua dei Fon, una popolazione del Benin, nell'Africa occidentale, che significa "divinità" e che indica l'insieme dei riti religiosi praticati nel golfo di Guinea, i quali vennero poi trapiantati in America dagli schiavi neri.
 Anche quando veniva praticato dalle popolazioni autoctone nel golfo di Guinea, il vudù non costituiva un sistema religioso coerente, ma un complesso eterogeneo di pratiche e rituali che conservavano degli elementi comuni di fondo. Uno di questi è la presenza dei vudù, delle entità spirituali collocate a metà della gerarchia soprannaturale, al di sotto degli dèi ma al di sopra degli uomini e di altri spiriti inferiori. Essi erano ritenuti dunque dei mediatori, responsabili di varie epifanie che si concretizzavano nel mondo quotidiano attraverso l'invasione, da parte degli spiriti, di luoghi naturali (pietre, corsi d'acqua, vegetazione, ecc.) o di elementi artificiali.
 Quando gli spiriti si impossessavano di oggetti, si parla dei cosiddetti "feticci", che consistevano in recipienti, immagini, o anche pozioni realizzate e gestite dai ministri del culto. Costoro erano scelti dalle stesse divinità per assumere questo incarico, ma potevano assumersi il compito di intermediari tra gli uomini e gli spiriti anche di propria iniziativa. I sacerdoti vudù erano in grado di controllare, gestire e canalizzare la potenza degli spiriti per asservirla a diversi scopi, di tipo taumaturgico, oracolare o anche stregonesco. Negli anni, si formarono delle vere e proprie gerarchie istituzionali vudù, più o meno complesse.

Feticcio vudù


 Una caratteristica particolare del vudù è la sua grande ricettività e adattabilità, che hanno fatto sì che questa religione prendesse facilmente piede in America centrale, dando luogo a processi variegati di sincretismo e interazione con altre tradizioni religiose. Il centro più importante degli adepti di questa religione in America è l'isola di Haiti, dove il vudù sopravvisse fungendo da baluardo dell'identità degli schiavi neri deportati dai coloni francesi e costretti a convertirsi al cristianesimo. In tal senso, nonostante avesse incorpato anche degli elementi cristiani, il vudù rappresentò un culto sovversivo contro la dominazione francese soprattutto durante il XVIII secolo. Il 14 agosto del 1791, infatti, ebbe luogo ad Haiti un'importante rivolta ad opera dello schiavo Boukmann che portò all'indipendenza, che i seguaci del culto ricordano tuttora con la celebrazione di una festività. Nonostante le ribellione, però, il vudù conobbe molte avversità e, anche se continuò ad avere un ampio seguito tra la popolazione, venne a lungo proclamato illegale dalle autorità.

 Chiusa questa parentesi storica, concentriamoci ora sulla religione vera e propria, prendendo in considerazione gli aspetti del culto haitiano. 
 Il vudù è fondamentalmente un culto di possessione, in cui l'adepto riesce ad andare oltre la propria condizione di schiavo e ad acquisire una condizione superumana grazie a un processo (chiamato appunto "possessione") in cui si accoglie in sé uno spirito o una divinità. Questi esseri soprannaturali che, come si dice in gergo liturgico vudù, "cavalcano" il fedele dopo essere stati da questo evocati, sono chiamati Loa oppure Orixa (o orisea). In queste figure si può riscontrare la forte compenetrazione tra la religione vudù e cristiana, poiché spesso le divinità di origine africana sono assimilate ad angeli o santi. 
 Uno spirito molto importante è Legba (o Papa Legba), un intermediario tra il mondo umano e quello divino che è contraddistinto da una croce, in cui il braccio verticale costituisce l'asse del mondo, mentre quello orizzontale simboleggia la vita terrena. Possiamo menzionare molte altre divinità, come Agwe, dio del mare che governa tutto ciò che si trova nelle acque; Azaka-Tonnerre (o Donner-Azaka), dio del lampo e patrono dei contadini; il dio della fertilità Dambala che, malgrado le sue sembianze da serpente, è identificato a volte con S. Pietro, altre con S. Patrizio; Ezili, la dea dell'amore sovente identificata con la Vergine Maria. E, sopra tutti, il dio supremo chiamato Bon Dieu
 Tra i Loa si trovano anche dei profeti del culto dei defunti o degli eroi dell'indipendenza di Haiti, quali Biasson, J. Dessalines, D. Toussaint Louverture, che denotano una forte connessione tra il vudù e la politica.
 Per quanto riguarda le potenze infere si possono citare innanzi tutto i 30 Ghede, divinità della morte aventi ciascuna un proprio nome. Vi sono inoltre Baron Samedi e Baron La Croix, sottoposti di Baron Cimitière, che formano una triade infera vestita di nero che vengono evocati durante la Banda, un ballo erotico che si danza in occasione della festa dei defunti. 

Danza per evocare gli spiriti


 Del resto, la danza è un elemento centrale del culto vudù, poiché in essa uomini e dèi si fondono, e i danzatori e il pubblico presente sono sospinti verso condizioni di estasi collettiva e di trance anche attraverso l'uso di droghe.
 Altre forme di culto sono rappresentate da sacrifici di animali (perlopiù galli, ma anche maiali e tori), in cui si chiede prima il consenso della bestia da immolare, che si esprime nell'offerta e nell'accettazione di cibo da parte della vittima. I rituali sono guidati da sacerdoti chiamati ougan se di sesso maschile, mambo se di sesso femminile. Il sommo sacerdote si definisce invece papaloa o mamaloa
 Infine, non bisogna dimenticare le pratiche magiche del vudù, visibili per esempio nella figura dello zombi, il celebre morto-vivente. L'individuo in questione era in precedenza un essere umano a cui uno stregone ha sottratto l'anima, riducendolo in schiavitù per asservire a scopi malvagi.

 Il vudù senza dubbio rappresenta un mondo ancestrale affascinante, proprio perché con i suoi molteplici apetti riesce a inglobare elementi di diverse popolazioni, fondendole in un originale sincretismo.
  



Fonti:
- "Vudu" in Vocabolario Treccani all'url http://www.treccani.it/vocabolario/vudu/;
- "Vudu" in Dizionario di storia Treccani all'url http://www.treccani.it/enciclopedia/vudu_%28Dizionario-di-Storia%29/;
- "Vudu" in Enciclopedia Treccani all'url http://www.treccani.it/enciclopedia/vudu/;
- "Vudu" in Dizionario religioni all'url http://www.riflessioni.it/dizionario_religioni/vudu.htm;
- "Vodù o Vudù" in Enciclopedia Sapere.it all'url http://www.sapere.it/enciclopedia/vod%C3%B9+o+vud%C3%B9.html.

mercoledì 25 luglio 2012

Il gioco della palla

 Alzi la mano chi ha visto il film d'animazione La strada per El Dorado. Ricordo che ai tempi era uno dei miei preferiti e che continuavo a vederlo e rivederlo con una mia carissima amica. Eravamo affezionatissime ai due protagonisti, Tullio e Miguel, due ladruncoli spagnoli che si trovano per caso a partecipare (a loro modo) alla spedizione del conquistador Hernán Cortés nel Nuovo Mondo. Ma saranno solo Tullio e Miguel a scoprire El Dorado, la città d'oro.

 Mi è venuto in mente questo cartone animato per introdurre l'argomento di oggi, che sarà il gioco della palla, che gli spagnoli chiamavano juego de la pelota, i Maya pitz e gli Aztechi (o comunque i popoli di lingua nahuatl) ullamaliztli o più semplicemente ulama. Anche nel film vi sono varie scene che illustrano questo gioco, molto popolare tra le civiltà antiche della Mesoamerica, che lo praticarono per oltre tremila anni.
 In realtà, il gioco della palla non era un vero e proprio gioco, ma un rituale religioso fortemente simbolico. Attraverso l'ulama, gli antichi popoli del Centroamerica ricreavano i fenomeni naturali e gli scontri cosmici che reggevano l'universo: giorno e notte, sole e luna, vita e morte. La palla e il suo costante movimento rappresentavano il moto degli astri, in primo luogo del sole. La palla, infatti, doveva essere ripetutamente lanciata da una parte all'altra del campo per perpetuare il ciclo eterno di vita, morte e rigenerazione. Chi era in possesso degli strumenti da gioco, era anche in grado di controllare le forze in contrasto e, se lo desiderava, poteva rompere l'equilibrio cosmico.

Giocatori di ulama


 Da ciò si capisce il motivo per cui anche nei miti maya e aztechi compare questo gioco. Il Popol Vuh ricorda che l'importante lotta tra i signori oscuri di Xibalbá, il regno dei morti, e gli eroi gemelli Hunahpú e Ixbalanqué, gli iniziatori culturali dell'umanità, ebbe luogo proprio attraverso il gioco della palla.
 Prima dello scontro decisivo tra i signori dell'inframondo e i gemelli prodigiosi, Hun Camé e Vucub Camé (così si chiamavano due dei signori più potenti di Xibalbá) avevano sconfitto con l'inganno lo zio e il padre dei gemelli, Hun Hunahpú e Vucub Hunahpú, e li avevano sacrificati. Ma la loro eredità doveva essere raccolta dai gemelli Hunahpú e Ixbalanqué, destinati a sconfiggere i signori di Xibalbá e a vendicare i propri predecessori.

 Per gli Aztechi, invece, il gioco della palla simboleggiava lo scontro cosmico tra le forze della notte, capeggiate dalla luna (la dea Coyolxauhqui) e dalle stelle (i quattrocento Centzonuitznaua, fratelli della luna) e il sole, impersonato da Huitzilopochtli. Fu proprio quest'ultimo ad avere la meglio sul campo da gioco, dove uccise Coyolxauhqui e fece sgorgare l'acqua che rese fertile l'arida terra di Tula.

Anello presente sul campo di Chichén Itzá


 Ma in cosa consiste il gioco della palla?
In realtà non si sa molto sulle regole dell'ulama. Bisogna ricordare che era un rituale preticato in una vasta area geografica e che conosceva innumerevoli varianti, sia per quanto riguarda le regole, sia per gli strumenti da gioco utilizzati. Generalmente si può dire che veniva praticato all'aperto in costruzioni adibite al gioco, chiamati tlachtli, che erano a forma di I o di due T, una dritta e una rovasciata, unite nella parte centrale. Queste strutture erano delimitate da bassi muretti o da pareti inclinate o verticali, in cui vennero successivamente aggiunti gli anelli. 
 La palla utilizzata era di gomma, probabilmente delle dimensioni di un pallone da pallavolo, e pesava all'incirca 3 o 4 chilogrammi. Questo è il motivo per cui i giocatori, divisi in due squadre avversarie, indossavano delle protezioni, come caschi, perizoma e gioghi rinforzati sulle anche e anche delle ginocchiere.
 La palla di caucciù, una volta messa in gioco, non doveva mai toccare il terreno né uscire dal campo di gioco. La versione più diffusa dell'ulama prevedeva che i giocatori potessero colpire la palla solo con le anche, mentre altre varianti permettevano l'uso degli avambracci o addirittura l'impiego di racchette o bastoni. Se una squadra riusciva a far passare la palla negli anelli appesi alle pareti, vinceva la partita, che si concludeva con la decapitazione del capitano della squadra che aveva perso. Infatti, l'ulama era strettamente collegato ai sacrifici umani, poiché i perdenti venivano sacrificati, come racconta anche il Popol Vuh.
 Una teoria molto interessante ipotizza che l'ulama fosse un mezzo per risolvere i dissidi tra varie etnie senza arrivare a un confronto bellico. A questo proposito, vi è l'esempio citato da Frate Juan de Torquemada, missionario e storico spagnolo del XVI secolo che racconta come l'imperatore azteco Axayacatl si scontrò sul campo da gioco con Xihuitlemoc, sovrano di Xochimilco. 

Campo da gioco del monte Albán


 Nonostante le numerose implicazioni religiose e simboliche che il gioco della palla possedeva, l'ulama acquisì man mano un aspetto profano, tant'è che, alla vigilia della Conquista, le partite vedevano la presenza di numerosi tifosi e anche di scommettitori. Insomma, degli antenati degli ultras e dei bookmakers.



Fonti:
- Wikipedia, voce "gioco della palla centroamericano";
- AIMI, Antonio, Dizionari delle civiltà – Maya e Aztechi, Mondadori Electa, Milano, 2008, pp. 118-121;
- CRAVERI, Michela (a cura di), Miti e leggende del Popol Vuh, Bompiani, Milano, 1998, p. 11.

sabato 21 luglio 2012

Bastet, la dea felina

 Non so voi, ma io sono un'amante dei gatti. Intendiamoci, non sono una fanatica, ma la loro natura mi intriga. I gatti sono animali imprevedibili e misteriosi, sanno essere teneri e coccolosi, ma anche parecchio carogne.

 Mi sento dunque in dovere di dedicare un post alla dea egiziana Bast, più conosciuta forse come Bastet, la dea gatta. La divinità, infatti, veniva raffigurata come una donna con la testa di gatto, spesso circondata da uno stuolo di gattini. Un'altra variante raffigurava Bastet come una gatta nera.
 Un altro suo segno di riconoscimento il sistro, strumento musicale inventato da Iside, e spesso ci si rivolgeva a lei come "Signora delle Bende".

La dea Bastet


 In origine, Bastet era una divinità solare, che simboleggiava il calore benefico dell'astro a cui era associata, ma con il passare del tempo la dea venne associata sempre più al culto lunare. Quando l'influenza dei Greci si estese in Egitto, Bastet fu identificata con Artemide e, per questo, divenne definitivamente ed esclusivamente una dea lunare.
 In quanto collegata alla luna, Bastet rappresentava la sfera della femminilità in tutte le sue sfaccettature: ella incarnava la sensualità e la dolcezza, il fascino e la generosità, l'amore e la passione, il desiderio e il piacere. In primo luogo, dunque, la dea aveva il potere di stimolare l’amore e la sessualità, mentre a Efeso e in altre zone era adorata come dea della fertilità.
 La particolarità di questa dea è che era dotata di un duplice aspetto, come l'animale a cui era associata. Bastet infatti poteva essere benevola e pacifica, ma anche terribile e feroce, poiché in lei convivevano sia l'aspetto maschile legato al sole e alla sua forza luminosa, sia l'aspetto femminile identificato con la luna e con una forza indipendente e misteriosa.

 L'aspetto benevolo di Bastet era rappresentato in forma di gatta o di donna-gatto, e in tale veste la dea era la protettrice dell'umanità. Ella era inoltre la dea della gioia, del piacere, delle partorienti, dei profumi, della danza e del canto.
 Bastet tutelava non solo i suoi animali sacri, i gatti,  ma anche le donne e i bambini, individui che possedevano in qualche modo gli aspetti tipici dei felini, quali l'indipendenza, il fascino misterioso, la fragilità e la bellezza. 

 Bastet però era nota anche per la ferocia delle sue collere. In questo aspetto era spesso identificata con la sorella Sekhmet, "la Potente", che rappresentava il calore bruciante del sole e che presiedeva alla guerra e alla medicina. Un detto egiziano recitava: 

Non si accarezza la gatta Bastet prima di aver affrontato la leonessa Sekhmet.

 Sekhmet era difatti raffigurata come una donna dalla testa leonina, sormontata dal sole e dall'ureo, la tipica decorazione a forma di serpente, e con in mano il bastone uadj, uno scettro egizio. Questa divinità rappresentava la dissociazione e la scomposizione nell'aspetto più violento della distruzione. Sekhmet, infatti, ha il potere di annientare tutto ciò che non può durare, che non ha stabilità. E' dunque una perfetta rappresentazione del Tempo, che divora inesorabile tutto quanto gli appartiene. Tuttavia, Sekhmet è anche la dea della guarigione. 

La dea Sekhmet


 Sia Bastet che Sekhmet sono figlie di Ra, il dio Sole, e costituiscono uno degli "Occhi di Ra", poiché questa duplice divinità veniva inviata dallo stesso Ra per eliminare i nemici dell'Egitto e dei suoi dèi.
 Una leggenda narra che Ra, deluso dal comportamento improbo dell'umanità, inviò Hathor per punire gli uomini. Quest'ultima assunse la terribile forma di Sekhmet, che iniziò a far strage di tutto ciò che le si parava davanti.
 In seguito Ra, reso più indulgente anche dagli altri dèi, cercò invano di richiamare la dea furiosa, finché escogitò uno stratagemma: il dio Sole fece preparare un liquido con birra e ocra rossa, di modo che fosse simile al sangue, e lo versò sul terreno. Appena vide il liquido rosso, Sekhmet lo bevve fino a ubriacarsi e ad addormentarsi. Il sonno calmò la collera della dea, che al suo risveglio assunse la forma di Bastet e smise di infierire contro il genere umano. 
 Una variante del mito afferma che Sekhmet divenne Bastet dopo essersi bagnata nel Nilo e che in seguito tornò a Par Bastet, omonimo centro di culto della dea.

 Bastet dunque rappresenta nella mitologia egiziana l'essenza della donna e della femminilità, che può essere l'emblema dell'amore, della sensualità, de piacere, ma anche dell'indipendenza e del mistero.


Fonti: sito internet http://www.deabastet.tk/, interamente dedicato alla dea Bastet, in particolare la sezione "La dea Gatta e i suoi aspetti" e "Il mito"; sito internet "Il cerchio della luna", articolo "Bastet" all'url http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Bastet.htm; Wikipedia, voce "Bastet".

Grazie...

Il Blog Affidabile




 Nel post di oggi voglio ringraziare tanto Elisa del blog Il rovo di bosco da cui ho ricevuto il premio di "Blog 100% affidabile", come riporta il logo soprastante.
 E' una persona meravigliosa che mi sta aiutando molto in questo periodo. E' da poco, infatti, che sto considerando seriamente la mia attività di blogger e che ho deciso di sfruttare appieno questo mezzo potente, che è internet, per far conoscere la mia attività e la mia passione per la mitologia e per la manualità. Spero in questo modo di trovare impiego in un campo affine, un giorno! 
 Come ho detto, essendo nuova in questo mondo, non conosco molti blog, quindi ho dovuto fare delle ricerche prima di nominare altre cinque blog affidabili.
 Ora posso dire che 

"Dichiaro che i blog seguenti da me scelti rispettano le 5 regole del Premio 'Il Blog Affidabile'  disponibili a questa pagina. Sono pertanto una risorsa utile per gli utenti della Rete e meritevoli di essere conosciuti da un pubblico più ampio".

1. Mitologia greca 
 




 Spero che sia una cosa che può far piacere alle ideatrici di questi blog, che invito a prendere il premio! 

mercoledì 18 luglio 2012

Ermete Trismegisto

 Vorrei qui parlare di un personaggio abbastanza curioso, che non appartiene interamente al campo mitologico, nonostante si tratti di un iondividuo alquanto misterioso.
 Sto parlando di Ermete Trismegisto (o Trimegisto), appellativo che significa "tre volte grandissimo" e che è riferito a un personaggio leggendario dell'età ellenistica e considerato autore del Corpus Hermeticum, un gruppo di scritti di argomento filosofico-religioso che circolarono nel mondo greco-romano nei primi secoli d.C. Questi scritti facevano riferimento a una cosmogonia incentrata sulla creazione dell'uomo e sulle condizioni della sua liberazione spirituale attraverso la conoscenza. 

Ermete Trismegisto

 Gli scrittori che si definirono "ermetici" vollero attribuire le dottrine dei filosofi classici a quelli che pensavano ne fossero stati i maestri: da ciò nacque l'idea di assegnarli all'antichissimo dio egiziano Thoth, identificato con il greco Ermete Trismegisto. 
 Dunque, questa figura nacque dall'assimilazione della figura greca del dio Hermes (noto anche tra i Romani con il nome di Mercurio), messaggero degli dèi e guida delle anime nel mondo dei morti, con il dio egiziano Thoth, scriba degli dèi e depositario della sapienza divina che in tempi antichissimi avrebbe appunto rivelato negli scritti attribuitigli. Queste due divinità, infatti, presentano numerosi aspetti comuni: entrambi sono al servizio di una divinità superiore (Hermes è messaggero di Zeus, Thoth è lo scriba di Osiride); Hermes è dio della parola e Thot è dio della parola e della letteratura; entrambi sono psicopompi, ovvero accompagnatori delle anime dei defunti nell'oltretomba; inoltre, sia Hermes che Thoth sono, nelle rispettive culture, gli dèi della scrittura e della magia. 

Unione di Thoth e Hermes

 Già nella tradizione religiosa dell’antico Egitto si trovano riferimenti a vari personaggi chiamati Ermete. 
 Il primo fu "innanzi a tutte le cose", comprese egli solo la natura del Demiurgo e depose tale conoscenza in scritti che furono a lungo tenuti celati. Cooperò alla creazione dei corpi da congiungere alle anime, aggiungendovi tra l’altro l’amore del vero. Comunicò la scienza a Camefi, avo di Iside e Osiride ed a questi concesse di penetrare negli arcani suoi scritti, parte dei quali serbarono per sè, parte scolpirono su colonne, come regola alla vita degli uomini.
 Quelle prime scritture furono poi tradotte in lingua comune dal secondo Ermete, inventore della scrittura, della grammatica, dell’astronomia, della geometria, della medicina, della musica, dell’aritmetica, della religione e di tutte le arti.
 La tradizione gnostica accenna più esplicitamente al significato del termine "Trismegisto" nel senso di "tre volte incarnato". Si tratterebbe cioè della triplice incarnazione, secondo la tradizione egiziana, del medesimo personaggio, Ermete, che sempre visse filosoficamente, dedito alla conoscenza il quale, nel corso della sua terza vita, grazie ai meriti accumulati nelle due precedenti, si "ricordò di se stesso" o meglio "riconobbe se stesso". Accadde cioè che, mediante "un atto straordinario e illuminatore di reminiscenza che gli rivelò la sua identità e la sua origine trascendenti", Ermete riprese coscienza e possesso del suo autentico "io", e contemporaneamente "seppe" con certezza che sarebbe tornato al mondo superiore da cui era venuto, "al luogo intellegibile in cui si trovava primitivamente".
 E' chiaro a questo punto come, attraverso il processo di assimilazione tra divinità greche ed egizie, avvenuto nell'atmosfera sincretistica dell'Impero romano, Ermete Trismegisto divenne il dio rivelatore della verità e mediatore tra gli uomini e gli dèi. Il raggiungimento della verità e la mediazione tra uomini e dèi, secondo la natura stessa di Ermete Trismegisto, che rimanda inequivocabilmente a un'esperienza mistica e spirituale.
 Nei suoi discorsi ad Asclepio, suo discepolo, Ermete parla di Dio come inconoscibile, invisibile, incorporeo; tuttavia "egli può, in verità, concedere a qualche eletto la facoltà di innalzarsi al di sopra delle cose naturali, così da percepire un barlume della sua somma perfezione". Ermete dunque dichiara che  la percezione spirituale è la base di ogni conoscenza esoterica.
 Il mondo antico affidava questa esperienza al rito iniziatico, cui erano ammessi gli adepti che se ne mostravano degni: essi dovevano sottoporsi a prove che ne sondavano le attitudini fisiche, morali ed intellettuali. L’iniziazione coinvolgeva l’individuo in tutta la sua interezza, risvegliava le sensibilità sopite dell’anima inducendo l’adepto a mettersi in contatto cosciente con le forze occulte dell’universo, ri-conoscendo la propria vera natura attraverso la percezione spirituale diretta.
 Ermete era appunto la figura guida in questo percorso iniziatico: ne troviamo testimonianza diretta nella Visione di Ermete, scritto attribuito ad Ermete Trimegisto e giunto fino a noi col titolo Il Pimandro, ossia l’intelligenza suprema che si rivela e parla. Nel testo si narra di come un giorno, mentre era in meditazione, a Ermete comparve un essere immenso che si presentò a lui dicendo: "Io sono Pimandro, l’Intelligenza suprema". Subito Ermete ebbe una visione prodigiosa del Tutto. Poi Pimandro proseguì: "Ascolta: quello che in te vede e intende è il Verbo, la parola di Dio; l’intelligenza è il Dio Padre. Essi non sono separati poichè l’unione è la loro vita." E ancora: "Comprendi dunque la luce e conoscila".
  "A queste parole - prosegue Ermete - egli mi fissò a lungo ed io tremai nel guardarlo. E a un cenno di lui vidi nel mio pensiero la luce e le sue potenze innumerevoli, il mondo infinito prodursi e il fuoco, mantenuto da una forza immensa, arrivare al suo equilibrio. Ecco quel che compresi guardando attraverso la parola di Pimandro".
Questa esperienza fu all’origine della conoscenza di Ermete, che egli testimoniò, sicchè di lui fu detto:
 
Ermete vide la totalità delle cose e, vistala, comprese; e con la comprensione acquisì la forza di testimoniare e rivelare. Mise per iscritto il suo pensiero e occultò gran parte dei suoi scritti, a volte saggiamente tacendo, a volte parlando, così che in avvenire il mondo continuasse a cercare queste cose. E, comandato agli dèi suoi fratelli di fargli da corteo, ascese alle stelle. 

 Ermete Trismegisto è ritenuto per questo anche il padre fondatore di scienze occulte, come l'astrologia e soprattutto l'alchimia, poiché a lui è attribuita la redazione della Tabula Smaragdina o Tavola di Smeraldo, uno dei testi ermetici più importanti in assoluto.



Fonti: Wikipedia, voce "Ermete Trismegisto"; Enciclopedia Treccani on-line, voce "Ermete Trismegisto"; Enciclopedia Riflessioni.it, voce "Ermete Trismegisto" all'url http://www.riflessioni.it/enciclopedia/ermete-trismegisto.htm; articolo "Individuazione" di Agnese Galotti all'url http://www.geagea.com/20indi/20_04.htm.

lunedì 16 luglio 2012

Asi e Vani

 La mitologia norrena, rispetto a tutte le altre, rappresenta una peculiarità, poiché il suo pantheon ammette la coesistenza di due diverse stirpi divine: gli Asi e i Vani. Questi diedero luogo al primo grande conflitto della tradizione mitologica germanica, che si risolse con la stipulazione della pace tra i due gruppi divini, che da allora in poi convissero pacificamente.

 L'Edda in prosa di Snorri narra che gli Asi (o  Æsir) erano originari dell'Asia e da quel luogo si sarebbero spostati seguendo il loro capo Odino verso le terre del nord, fermandosi in Svezia. La loro patria d'origine era Ásaland ("terra degli Asi"), anche chiamata Ásaheimr ("regno degli Asi"), posta al centro del mondo. In questa lontana terra, sulla cima di montagne così alte che quasi toccano il cielo, gli dèi innalzarono la fortezza di Ásgarðr (o Asgardr o ancora Asgard, curiosamente identificata da Snorri con Troia) dove, tra splendidi edifici e magnifici templi, andarono a vivere con le loro famiglie e i loro figli. Da quel luogo elevato e remoto, gli Asi stabilirono il loro dominio sul mondo, il governo sugli elementi e il destino di tutti gli esseri.  

 Ma gli Asi non erano le sole divinità che volevano controllare i cicli della terra. Il loro primato era infatti conteso dai Vani (o Vanir), divinità di cui si sa tuttora molto poco. La loro discendenza è ignota, come pure i loro sovrani. Quel che è certo è che i Vani vivevano in una remota terra chiamata Vanaheimr, probabilmente a occidente di Ásaheimr. Popolo soprannaturale, misterioso e potente, i Vani erano esperti in pratiche magiche (di cui erano depositarie soprattutto le donne) che permettevano loro di vedere il futuro. Quella dei Vanir era una società chiusa in sé stessa, gelosa delle proprie caratteristiche e peculiarità. Comune era presso di loro la pratica dell'incesto e non era raro che venissero celebrati matrimoni tra fratelli. Inoltre, molti identificano i Vani come divinità che presiedevano all'ambito della fecondità e della ricchezza in contrapposizione agli Asi, che invece si occupavano delle sfere del sacro inerenti alla sovranità, alla sapienza, al diritto e alla guerra.

 Signore di Asgard e degli Asi era Odino, il "padre di tutti", poiché da lui discendono tutti gli dèi.
Odino governava tutte le cose del mondo e, benché anche gli altri dèi fossero potenti, lo servivano come i figli fanno con il padre. La sua sposa era Frigg, con la quale generò vari figli.
 Uno dei figli più importanti di Odino era Thor, che il padre degli dèi ebbe da Jörð,un'antica dea della terra. Colmo di vigore, Thor superava in forza tutte le creature viventi. Sposa di Thor era Sif dalle trecce d'oro.
 Il secondo figlio che Odino ebbe da Frigg, era Baldr. Egli era il migliore degli Æsir, bello d'aspetto, saggio e gentile. Tutti gli portavano amore e rispetto. Sua sposa era Nanna, che insieme a lui generò Forseti, giudice degli dèi. Fratelli di Baldr, figli di Odino e Frigg, sono il dio cieco Höðr  e il veloce Hermóðr.
 Odino però generò altri figli, nati da diverse unioni. La gigantessa Gríðr gli partorì Víðarr il silenzioso, il più forte degli Asi dopo Thor. La principessa Rindr lo rese padre del coraggioso Váli. Anche il valoroso Týr era figlio di Odino, benchè altri lo ritengano figlio del gigante Ymir.
 Tra gli altri dèi, contiamo poi Bragi, sommo per eloquenza, abile nella poesia e nelle arti scaldiche. Sua sposa era Iðunn, colei che custodiva le mele che gli dèi dovevano mangiare per ridiventare giovani, una volta invecchiati. E ancora ricordiamo Heimdallr, la sentinella di Asgard, che fu generato all'inizio dei tempi da nove madri, tutte sorelle. Per ultimo rimane da enumerare Loki, il fabbro di inganni, la cui opera sarà tristemente nota tra gli dèi e tra gli uomini finché durerà il mondo. 

Gli Asi discendono dal ponte arcobaleno


 Dei Vani, invece, conosciamo solo i nomi di quelli che, dopo il violento conflitto che oppose le due fazioni divine, abbandonarono il Vanaheimr per trasferirsi ad Asgard, dove condivisero con gli Asi la dimora e il rango divino.Costoro furono Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja, che Njörðr , secondo il costume dei Vani, aveva avuto dalla sua stessa sorella. Presso gli Asi, tuttavia, un'unione tra parenti così stretti non sarebbe stata permessa.

I Vani, gli dèi della fertilità


 Come già accennato, Asi e Vani furono protagonisti di un violento conflitto, le cui vicissitudini ebbero inizio quando Gullveig ("Ebbrezza dell'oro") fu inviata dai Vani per portare cupidigia e corruzione tra le dee degli Asi. Così, per tre volte gli Asi tentarono di bruciare la strega, ma per tre volte la donna rimase immune alle fiamme. Il suo riso schernitore riempì di spavento e sbalordimento gli dèi, spettatori dubbiosi davanti a un simile prodigio. Infine, però, le fiamme bruciarono il corpo di Gullveig, di cui non rimase nessuna traccia, fuorchéle sue ceneri sparse al vento.
 Subito dopo, giunse un'ambasciata dei Vani, che chiedeva la restituzione di Gullveig alla sua gente. Ciò, naturalmente, era solo un pretesto per scatenare la guerra e Odino lo comprese subito. Perciò, senza mezzi termini, il padre degli dèi annunciò che avevano arso al rogo Gullveig e i Vani, in risposta, dichiararono guerra agli Asi.   
 Odino guidò le armate degli Asi, scagliò il suo giavellotto contro le forze nemiche, ma questo non impedì ai Vani di distruggere le mura di Asgard e percorrere impunemente le sue pianure. Mai prima di allora l’universo era stato afflitto dagli orrori di una tale guerra, mai si erano visti simili annientamenti e tanto spargimento di sangue. Sia gli Asi che i Vani combattevano con orgoglio e decisione, ma dagli scontri non uscivano né vinti né vincitori, e le sorti della guerra restavano in perenne equilibrio.

Guerra tra Asi e Vani

 Stanchi di una lotta combattuta tra dèi di pari valore, le due fazioni nemiche decisero di riporre le armi e le magie funeste e di redigere un trattato di pace imparziale. Dopo estenuanti trattative, gli dèi decisero che l'unico modo per perpetuare la pace tra Asi e Vani era uno scambio di ostaggi per garantirsi fedeltà reciproca: i Vani mandarono presso gli Asi i personaggi più influenti della loro comunità, ovvero Njordr e i suoi figli Freyr e Freyja; in cambio, gli Asi offrirono loro in pegno Hoenir e Mimir.
 Così ebbe fine la guerra tra gli dèi, che da allora convissero in pace.


Fonti: Wikipedia, voci "Æsir", "Vanir"; sito Bifrost all'url http://bifrost.it/GERMANI/3.Glideidelnord/01-AesirVanir.html; "Asi e Vani, le contese divine" all'url http://lospecchiomagico.altervista.org/Leggende%20vichinghe/03%20Asi%20e%20Vani/Asi%20e%20Vani.htm; "Conflitto tra Asi e Vani" all'url http://www.ragnarok.it/index.php?option=com_content&view=article&id=74:conflitto-fra-asi-e-vani&catid=39:saggi&Itemid=58.

sabato 14 luglio 2012

Nascita e guarigione di Il'ja Muromec

 Anche oggi cambio completamente la zona geografica dell'ultimo post per spostarmi verso una terra decisamente più fredda e un'epoca un po' meno remota: la Russia medievale, ovvero la Rus' di Kiev.
 Mentre nell'Europa occidentale furoreggiavano i poemi che trattavano le imprese di cavalieri erranti, nella Rus' di Kiev si diffondevano le byliny, delle narrazioni epiche dell'antica tradizione slava orientale che trattavano delle imprese di principi, regnanti o della storia di città dell'antica Rus'. Vari cicli di queste byliny avevano per protagonisti i bogatyri, guerrieri eroici che venivano identificati come i difensori della terra russa che compiono difficili imprese guerresche o ardue fatiche, oppure come personaggi dotati di grande forza, bellezza, intelligenza o ricchezza. Si possono distinguere due gruppi di bogatyri: uno più antico, meno conosciuto, in cui i possenti guerrieri appaiono spesso associati a forze naturali, e uno che unisce i bogatyri kievani, radunati intorno alla corte di San Vladimir. I bogatyri più giovani sono meno confusi con la mitologia rispetto a quelli antichi e, nonostante le loro imprese appartengano al reame del fantastico e del miracoloso, essi riflettono la storia kievana, costituendo una singolare mescolanza tra cavalleria, cristianesimo e lotta contro i popoli della steppa.
 E' proprio di uno di questi che vorrei parlare oggi: Il'ja Muromec, il più famoso e il più popolare degli eroi dell'epica russa, probabilmente perché era l'unico tra i bogatyri a possedere umili origini. Non tratterò qui di tutte le imprese compiute da questo eroe leggendario, ma mi limiterò a narrare le curiose e prodigiose circostanze della sua nascita e di come divenne un eroe. 


Tre dei bogatyri più famosi: Dobrynja Nikitič (con la spada), Il'ja Muromec (con la mazza e la lancia) e Alëša Popovič (con l'arco)


 Il piccolo Il'ja nacque nel villaggio di Karačarovo, presso la grande città di Murom (da qui l’appellativo “Muromec”, cioè “originario di Murom”). Il padre e la madre erano contadini, ma Il'ja non poteva aiutarli a lavorare nei campi, perché era paralitico fin dalla nascita: non sapeva camminare, né disporre delle mani. Era molto triste per i genitori assistere questo povero ragazzo, che trascorreva tutta la sua fanciullezza su un giaciglio all'interno dell'izba, intristito per essere di peso alla sua famiglia, con il rimpianto di una intera vita di occasioni perdute.
 Ma un giorno, quando Il'ja aveva trent'anni, tre vecchi pellegrini bussarono alla sua porta e per tre volte gli chiesero: "Àlzati, Il'ja Ivanovič. Dacci da bere, abbiamo sete. Dacci da bere a sazietà!"
 In casa c'era solo Il'ja, che mortificato rispose tutte e tre le volte: "Volentieri vi darei da bere, vi darei da bere fino a inebriarvi. Ma per trent'anni di lunga vita non seppi camminare sui miei piedi e non seppi disporre delle mani."
 Allora i pellegrini esclamarono: "Àlzati, Il'ja Ivanovič. Con i tuoi piedi tu sai camminare, delle tue mani tu sai disporre!".
 E, pervaso da una strana forza, Il'ja si alzò prodigiosamente sulle gambe e, levando gli occhi verso l'icona che stava nell'izba, rese grazie al Signore per avergli permesso di acquistare l'uso degli arti.
 Subito allora corse in cantina e portò da bere ai pellegrini, i quali dissero: "E ora, o Il'ja, scendi di nuovo nelle cantine, porta su una coppa colma fino all'orlo e bevi anche tu alla tua salute!"
 Il'ja fece come gli era stato detto e d'incanto sentì sorgere in sé una forza smisurata. Tant'è che quando i vecchi pellegrini gli chiesero cosa sentisse dentro di sé, egli rispose loro: "Sento una grande forza in tutte le membra. Se sull'umida terra ci fosse un anellino, rovescerei la terra sul fianco!".
  Quando sentirono la risposta, i vecchi pellegrini ordinarono di nuovo a Il'ja di scendere in cantina, riempire una coppa fino all'orlo e di berne il contenuto. Il giovane ubbidì e quando ebbe bevuto per la seconda volta dalla coppa si rese conto che la sua forza era calata della metà.
 Soddisfatti, i vecchi lo benedissero e lo salutarono con queste parole: "Vivi, Il'ja, per essere guerriero! In terra morte non t'è destinata, in lotta morte non t'è destinata!"

Il'ja Muromec e i tre pellegrini

 Subito Il'ja corse nei campi dai genitori i quali, stupiti nel veder arrivare il figlio sulle sue gambe, lodarono Dio per il miracolo che aveva compiuto. E Il'ja dimostrò loro la sua forza sradicando una quercia smisurata e gettandola di traverso sul fiume Nepra. In questo modo Il'ja fece un ponte per passare dall'altra parte del fiume e comprese che l'aprire strade sarebbe stato sempre e dovunque il suo destino.
 Il giovane si ricordò della profezia dei vecchi pellegrini e si rivolse così ai genitori: "Padre, madre, datemi la vostra benedizione, poiché intendo partire per la grande città di Kiev, dove vive il principe Vladimir, il piccolo sole, per mettere la mia forza al suo servizio.
 "O figlio diletto", risposero i genitori "parti dunque per la grande città di Kiev. Grande forza ti ha dato Dio, ma tu vivi in grande umiltà e tieni a freno il tuo fervido cuore."
 Così Il'ja condusse fuori di primo mattino il suo cavallo grigio. "Ora, mio Sivko, bianca criniera, ruzzola un po' nella rugiada del mattino, affinché il pelo si ricambi. Da oggi galopperai nelle aperte ampie steppe e servirai il prode Il'ja Ivanovič di Murom!".
 Queste furono le origini del prode Il'ja Muromec.


Fonti: Wikipedia, voci "bogatyr" e "bylina"; Enciclopedia Treccani on-line, voce "bogatyri"; sito internet Bifrost all'url http://bifrost.it/Sintesi/Bogatyri.html.

giovedì 12 luglio 2012

Lilith

 Ho appena letto che esiste una leggenda ebraica sulla creazione della prima donna che afferma che non fu Eva la prima moglie di Adamo, ma Lilith. Dunque dedico questo post alla mitologia che circonda questa figura.

 Gli albori della mitologia che riguarda Lilith, però, sono da ricercare nella religione babilonese e assira dove troviamo la presenza di vari demoni, tra cui una terna composta da Lilu (maschio) e Lilitu (femmina) e Ardat Lilitu (figlia). questi erano demoni alati, probabilmente associati ai gufi (visti come spiriti succhiasangue), che nella notte scendevano a tormentare e a strangolare uomini, partorienti e neonati. Esistevano numerose formule di scongiuro in assiro a dimostrare il potere che veniva attribuito a queste spaventose creature notturne, come per esempio questa:

A colei che vola nelle stanze della tenebra... passa presto, presto, Lilith!

Incisione che rappresenta Lilith accompagnata dai gufi
 

 Nell'antica Mesopotamia, però, Lilith possedeva anche altri aspetti. L'accadico Lil-itu ("signora dell'aria"), per esempio, potrebbe riferirsi alla divinità femminile sumerica Ninlil (del pari "signora dell'aria"), dea del vento meridionale e moglie di Enlil. Occorre precisare che il vento e alla tempesta erano visti prettamente sotto una luce negativa: nell'antico Iraq, infatti, il vento del sud era associato all'aggressione portata dalle tempeste di polvere meridionali e in generale alle malattie.
 Inoltre, Lilith appare anche nel ciclo di leggende riguardanti Gilgamesh, dove viene identificata con ki-sikil-lil-la-ke ("donna demoniaca" in lingua sumera) e appare nella storia "l'albero huluppu" i cui protagonisti sono Inanna e, appunto, Gilgamesh. In questo racconto Inanna trova un albero huluppu sulle sponde dell'Eufrate che è sradicato dall'erosione dell'acqua, lo prende con sé per piantarlo nel suo giardino con l'intenzione di utilizzarne la legna per fare il proprio trono ed il proprio letto. Ma dopo dieci anni, quando l'albero è cresciuto, non può essere utilizzato poiché

un serpente [...] fece il suo nido tra le radici dell'albero huluppu.
L'uccello Anzu mise i suoi piccoli tra i rami dell'albero
e la vergine nera Lilith costruì la sua casa nel tronco.


  Così Inanna, la giovane dea che ama sorridere, chiama in suo aiuto l'eroe nascente Gilgamesh che, dotato di una forza prodigiosa, colpisce il serpente tra le radici e fa fuggire l'uccello Anzu con i suoi piccoli verso le montagne e anche Lilith, che si dirige verso i luoghi selvatici.

 Nella mitologia ebraica, Lilith è protagonista di due miti legati ad Adamo. Il primo si trova nel libro cabalistico intitolato Zohar, dove Lilith viene dipinta come la compagna di Satana e come una figura impura. Qui si narra che prima di conoscere Eva,  Adamo si accoppiasse con Lilith sino a quando poi incontrò la sua compagna naturale.
 Dopo il peccato originale, però, Adamo rifiutò di incontrare Eva per 130 anni, periodo durante il quale egli perse il proprio seme da cui sorsero molti demoni.
 In seguito, dopo i 130 anni, Adamo si riunì ad Eva.

Adamo e Lilith
 

 Ma la leggenda più famosa riguardo a Lilith deriva proprio da alcune discrepanze presenti nel libro della Genesi dove all'inizio la creazione dell'uomo e della donna viene così citata (Gn 1, 27):

Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò

 Nel secondo capitolo si ripete, con parole diverse, prima la creazione dell'uomo con polvere del suolo (Gn 2, 7) e poi, dalla costola di Adamo (Gn 2, 22), la creazione della donna chiamata Eva.
 Da questa incongruenza si è ipotizzato che la prima donna a cui si fa riferimento nel primo capitolo della Genesi non sia Eva, ma una donna diversa, che viene identificata con Lilith. Creata da Dio assieme ad Adamo, ne differisce però per composizione: Adamo venne modellato con sabbia finissima (terra sottoposta all'azione del fuoco), mentre Lilith con melma (terra sottoposta all'azione dell'acqua). Si narra che i due si abbandonarono a fervente passione nell'Eden, ma questo idillio sensuale ebbe termine quando Lilith si rifiutò di assecondare il desiderio sessuale di Adamo, che voleva giacere sopra di lei. La pretesa di Lilith di assumere una posizione sessuale dominante, scatenò l'ira del compagno a cui si sottrasse, pronunciando il sacro e segreto nome di Dio, librandosi in aria e fuggendo dall'Eden.
 In seguito, Lilith si accoppiò con Asmodai e vari demoni che trovò oltre il Mar Rosso, creando un'infinita generazione di jinn, degli esseri demoniaci della religione islamica. Adamo supplicò Dio di riportare indietro Lilith, così tre angeli, chiamati Senoy, Sansenoy e Semangelof, furono inviati a cercarla.
 Quando i tre angeli la trovarono, le ingiunsero di tornare minacciandola di morte, ma Lilith rispose che non sarebbe potuta tornare da Adamo dopo aver avuto relazioni con i demoni, poiché era divenuta immortale. Ma quando gli angeli minacciarono di uccidere i figli che lei aveva generato con i demoni, Lilith li supplicò di non farlo, promettendo che non avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva, se solo si fossero pronunciati i nomi dei tre angeli.

 Infine, in un altro testo ebraico è riportato come Lilith, furiosa e gelosa della nuova compagna di Adamo, si trasformò in serpente e offrì alla coppia il frutto proibito, condannando l'uomo e la donna alla perdita della loro condizione di favoriti da Dio, e a sottostare al ciclo naturale di vita e morte.

Lilith offre il frutto proibito ad Adamo ed Eva


 

Fonti: Wikipedia, voce "Lilith"; articolo presente sul sito http://www.duepassinelmistero.com/Lilith.htm.