venerdì 7 dicembre 2012

I calendari maya - L'Haab

 Come ho scritto nel post precedente, oggi mi appresto a continuare a sviscerare l'argomento dei calendari maya. Se settimana scorsa avevo parlato del calendario rituale e religioso, ora illustrerò il funzionamento del calendario civile e solare chiamato Haab

Una rappresentazione del calendario Haab


 
Etimologicamente, il nome deriva da Ha, acqua, quindi un significato plausibile del termine potrebbe essere “ciò che produce o causa acqua”. Si presume che l’Haab fosse stato utilizzato per la prima volta intorno al 550 a. C., quando l’inizio dell’anno coincideva con il solstizio invernale. Se lo Tzolk’in era il calendario delle cerimonie religiose, l’Haab aveva un valore civile e scandiva il tempo dal punto di vista agricolo.
 L’Haab era composto da 365 giorni, come il nostro attuale calendario, ma suddivisi in modo diverso: 18 periodi di 20 giorni ciascuno, chiamati Winal (Winalob al plurale) costituivano i mesi, ciascuno dedicato a una divinità; i cinque giorni rimanenti si chiamavano Wayeb ed erano giorni infausti ma importantissimi, perché tesi alla preparazione delle cerimonie di fine e inizio anno.
 I venti giorni che componevano un mese erano numerati dallo 0 al 19. Questo perché il giorno 0 di ogni mese era considerato il giorno di insediamento del nuovo mese, mentre l’inizio effettivo del mese si aveva con il giorno 1. Dunque, per esempio, il giorno 0 Pop, il primo dell’anno, era considerato un giorno di transizione, mentre il mese Pop iniziava ufficialmente con il giorno 1 Pop. Si può paragonare questo concetto con la cerimonia dell’intronizzazione di un sovrano. Il giorno 0 è il momento in cui il re viene incoronato, ma il suo regno vero e proprio inizia dal giorno successivo. Allo stesso modo, ogni mese viene “incoronato” nel giorno 0, ma il suo corso inizia solo con il giorno 1.  
 Come i vari giorni dello Tzolk’in, tutti i mesi dell’Haab erano caratterizzati da una divinità protettrice e da cerimonie peculiari:
1.      Pop era il primo mese dell’anno, ed era all’insegna del rinnovamento, Per questo, tutti gli oggetti d’uso quotidiano venivano cambiati: si sostituivano abiti vecchi con abiti nuovi, mentre altri oggetti, come il vasellame o le stuoie, venivano proprio distrutti. Le divinità connesse con questo mese sono due: il dio giaguaro, rappresentato anche nel glifo del mese, che era inteso come il dio della terra (sia della superficie sia delle profondità del sottosuolo) e Mam, la divinità che simboleggiava l’anno e responsabile dei terremoti.
2.      Wo, il secondo mese, era caratterizzato da celebrazioni in onore degli dèi patroni dei sacerdoti. Nella mitologia, il nome di questo mese indicava le rane dei Chac, gli dèi della pioggia, che con il loro gracidio annunciavano imminenti precipitazioni. Il patrono del mese, però, era il giaguaro dell’inframondo.
3.      Sip, il terzo mese, etimologicamente significa “un tempo di cielo chiaro”. In questo periodo si svolgevano feste in onore di tre categorie di lavoratori: i cacciatori, i pescatori e i medici. Ognuno di questi gruppi svolgeva riti di purificazione che prevedevano che si dipingessero di azzurro degli strumenti tipici del proprio mestiere e che richiedevano sacrifici di sangue, mediante la pratica di fori o di taglietti nei lobi delle orecchie. Il patrono del mese era una divinità dalle sembianze serpentine, simile a Kukulkan.
4.      Sotz’, il quarto mese, è rappresentato da un glifo raffigurante un pipistrello. Effettivamente, nel Popol Vuh si parla di un enorme pipistrello, Camatzotz, che è connesso con la morte. Il patrono di Sotz’ è un pesce, chiamato Xoc.
5.      Sek, il quinto mese, aveva come dèi protettori i quattro Bacab, specialmente il Bacab rosso, corrispondente all’est, chiamato Hobnil Bacab. Le cerimonie di questo periodo erano dedicate al dio delle api, che fabbricavano il miele, sostanza che i Maya adoperavano per ottenere l’idromiele. Questo importante alcolico era usato sia per i suoi effetti curativi, sia perché era ritenuto magico.
6.      Xul, il sesto mese, significa letteralmente “piantatoio per il mais”, un attrezzo che si usava per seminare i chicchi di mais. Dunque, questo nome è connesso al concetto di fine e inizio. Xul infatti rappresentava la fine di un anno agricolo e l’inizio di quello nuovo, che si celebrava il giorno 16 Xul nella ricorrenza di Chic Kabanche, dedicata a Kukulkan. Il patrono del mese probabilmente era un dio canino appartenente all’inframondo, come quello raffigurato nel glifo corrispondente.
7.      Yaxk’in, settimo mese, deriva dall’unione di Yax, “verde”, “azzurro” e K’in, cioè “giorno” o “sole”. Il significato di questo periodo era connesso con il concetto di inizio e di fondazione. Il patrono del mese era il dio del sole, festeggiato forse in concomitanza con Kukulkan e il fuoco nuovo.
8.      Mol, ottavo mese, derivava da una parola yucateca che significava “raccogliere”, “raggruppare”, ed era rappresentato da un glifo con acqua e giada. In questo mese vi era una festa importante, dedicata a tutte le divinità, celebrata in due modi. Uno prevedeva che venissero dipinti di azzurro gli oggetti d’uso quotidiano, le porte degli edifici, le scritture sacre, le statue, ecc. e che i ragazzi e le ragazze fossero colpiti per nove volte sul palmo delle mani per diventare abili nel mestiere dei propri genitori. L’altra cerimonia prevedeva che degli scultori fabbricassero dei simulacri degli dèi da offrire alle varie divinità. Raffigurare gli dèi era un compito rischioso, perché se le divinità non fossero state soddisfatte del lavoro degli scultori, si sarebbero vendicate inviando a questi malattie o morte.
9.      Ch’en, nome del nono mese, significa “cenote”, delle cavità naturali contenenti acqua tipiche dello Yucatan, considerate dei pozzi sacri. Con Ch’en iniziano i quattro mesi i cui glifi rimandano alla pioggia e alla tormenta (gli altri sono Yax, Sak e Keh). Il patrono è rappresentato dalla luna.
10.  Yax, il cui significato è “primo, tenero verde”, è il decimo mese dell’Haab. È probabile che il patrono di questo mese fosse il dio del pianeta Venere. Proprio in questo periodo si celebrava la festività di Ocná, dedicata al rinnovamento dei templi di Chac, effettuato mediante la sostituzione degli idoli lignei e dei vasi di terracotta.
11.  Sak, undicesimo mese, con tutta probabilità aveva come patrono il dio del mese maya, detto Winal, che veniva raffigurato con una testa di un rettile o di una rana. Nel mese di Sak i cacciatori celebravano una solennità tesa a chiedere perdono agli dèi per il sangue degli animali versato durante la caccia. Ciò dimostra il profondo rispetto che i Maya nutrivano per gli animali, Se questo sentimento di rispetto veniva meno, lo spirito tutelare dell’animale cacciato non avrebbe più concesso il successo nella caccia al sacrilego. Inoltre, presso i Maya vi era una cerimonia di espiazione dopo l’uccisione dell’animale, che obbligava il cacciatore a versare il proprio sangue sulle ferite dell’animale.
12.  Keh, il dodicesimo mese, era l’ultimo dei quattro mesi che nel glifo possedevano il segno Kawak, associato con la tempesta. Il patrono di Keh era legato al dio del cielo, mentre il suo glifo rappresenta un cervo.
13.  Mak, il tredicesimo mese, significa “fine”, “chiudere”, “coprire” e forse è anche per questo che Thompson ritiene che Mak segni la fine del calendario Tzolk’in. Il patrono del mese è il dio del numero 3, probabilmente una rappresentazione del dio del mais. In questo periodo cadeva la solennità Tupp Kak, celebrata in onore di Itzamna e dei quattro Chac per ottenere delle piogge abbondanti.
14.  K’ank’in, nome che deriva da Kan, “giallo” e K’in, “sole”, “giorno”, è il quattordicesimo mese dell’Haab e fa riferimento al periodo di maturazione del mais. Questo mese è patrocinato da una divinità della terra.
15.  Muwan, il quindicesimo mese, aveva lo stesso nome di un uccello associato all’acqua, alle piogge e alle nubi, che altri non è che il patrono di Muwan. Questo mese era dedicato a Ek Chuah, divinità protettrice dei mercanti e del cacao (che veniva usato come moneta in tutta la Mesoamerica) e di Hobnil, il Bacab rosso.
16.  Pax, il sedicesimo mese, era patrocinato dal giaguaro o dal puma. Nei venti giorni di Pax si svolgeva la cerimonia di Pacum Chac, in onore del dio Cit Chac Coh, il “padre puma rosso”, in cui il Nacom (il capitano di guerra), era portato nel tempio del dio per assistere alla danza dei guerrieri. Successivamente si celebrava un rito propiziatorio alla vittoria in guerra, dove si offrivano i cuori degli animali a Cit Chac Coh, gettandoli nelle fiamme. Il tutto si concludeva con un banchetto finale in cui tutti, meno il Nacom, si ubriacavano. Dopo il Pacum Chac, i vari villaggi stabilivano la data delle celebrazioni festive degli ultimi tre mesi dell’anno.
17.  K’ayab, diciassettesimo mese dell’Haab, era raffigurato in un glifo rappresentante una testa di pappagallo. Nel Popol Vuh vi è una sorta di divinità pappagallo, Vucub K’aquix, che fingeva di essere il sole per ricevere i sacrifici da tutte le creature viventi. Costui fu però punito in seguito da Hunahpú e Ixbalanqué, i gemelli prodigiosi. Il mese è dedicato a una dea della luna crescente, patrona della medicina. K’ayab segnava l’inizio delle celebrazioni che si svolgevano negli ultimi quaranta giorni dell’anno, chiamate Sabacil Than. Nonostante conservassero le pratiche della purificazione, delle danze e dei banchetti, tali festività avevano un carattere privato, poiché si celebravano nella casa di chi le organizzava, ed erano quindi più contenute.
18.  Kumk’ú è l’ultimo mese di venti giorni, e la sua chiusura coincide con la fine del Tun, l’anno di 360 giorni. In questo mese proseguivano le feste del Sabacil Than e il patrono celebrato era il coccodrillo o un essere celeste. Inoltre, l’8 Kumk’ú era considerata la data mitica dell’inizio del calendario Haab.

Alcuni glifi rappresentanti i mesi dell'Haab




 L’ultimo periodo dell’Haab era chiamato Wayeb ed era composto da soli cinque giorni. Si ritiene che una probabile radice di Wayeb sia Way, cioè “minaccia”, “dramma”. Il significato complessivo però si lega a concetti come “letto da cui ci si alza” o “stanza dalla quale si esce”. Questi cinque giorni avevano una particolarità, segnalata anche dal loro appellativo Xma Baba Kin, ovvero “giorni senza nome”. I giorni del Wayeb non avevano un nome perché dovevano cancellare le influenze dei giorni precedenti dall’anno venturo, tanto che anche i giorni dello Tzolk’in che transitavano in questo periodo dell’anno perdevano il proprio carattere. Questa neutralità rendeva impossibile prevedere gli effetti del mondo trascendente sulla natura e sull’uomo e proprio per questo i cinque giorni del Wayeb erano considerati nefasti e pericolosi. Perciò, i Maya li passavano svolgendo meno attività possibili; stavano chiusi in casa, non si lavavano né pettinavano, digiunavano e si astenevano dai rapporti sessuali. Il Wayeb dunque era un abisso che divideva il tempo vecchio da quello nuovo e che segnava una rottura nel flusso ininterrotto del tempo.

 Tuttavia, ricalcando un pensiero tipicamente maya, questa sorte di “morte del tempo” era necessaria per la successiva rinascita. Questo è testimoniato dal fatto che già nei giorni del Wayeb si effettuavano sia le cerimonie di purificazione tipiche di questo periodo, sia i riti propiziatori per l’inizio del nuovo anno. Questi ultimi, variavano a seconda del giorno Tzolk’in che avrebbe segnato l’inizio dell’anno. In ogni caso, però, le celebrazioni consistevano in sacrifici di animali, auto sacrifici, banchetti e offerte di cibo agli dèi. Tutto ciò si compiva nella casa prescelta, in cui gli idoli dell’anno vecchio e dell’anno nuovo venivano posti uno di fronte all’altro. Una volta terminati i giorni del Wayeb, l’idolo della divinità protettrice del nuovo anno veniva condotto nel tempio, mentre l’idolo dell’anno vecchio veniva collocato all’ingresso della città. Gli idoli avrebbero conservato la propria posizione per i prossimi 365 giorni.
 A questo punto bisogna sottolineare che i giorni Tzolk’in con cui iniziava l’anno potevano essere solo quattro, che all’epoca della conquista spagnola erano: K’an, Muluk, Ix e Kawak. Questi giorni erano contrassegnati da un valore mitologico non indifferente e consentivano di prevedere la qualità dell’anno che stava per iniziare: gli anni K’an erano favorevoli, i Muluk molto favorevoli, mentre gli anni Ix erano negativi, anche se non quanto i Kawak, che erano considerati molto sfavorevoli.

 A prescindere dal tipo di anno, però, le degenerazioni erano sempre in agguato. Se in un anno le calamità si facevano particolarmente insistenti, si pregavano delle determinate divinità ausiliarie, affinché accorressero in aiuto della comunità. Naturalmente, ogni anno aveva delle specifiche divinità ausiliarie e dei riti relativi, anche cruenti, a seconda del problema che affliggevano gli uomini. I riti di fine anno erano importanti soprattutto per le donne, poiché erano le uniche celebrazioni alle quali potevano assistere e addirittura partecipare con delle danze a loro riservate.

 La denominazione completa dei giorni dell'anno era ottenuta dalla combinazione della data Tzolk'in e dalla data Haab, che si incastrano tra di loro come due ruote di un ingranaggio aventi raggio differente: lo Tzolk'in, di 260 giorni, corrisponderà quindi alla ruota con raggio minore, mentre l'Haab, con la sua durata di 365 giorni, sarà la ruota di raggio maggiore.

La rappresentazione dei calendari Tzolk'in e Haab secondo Morley

 Insomma, il calendario per i Maya era una cosa molto seria, che si legava inscindibilmente alla forze trascendenti dell'universo. Al giorno d'oggi noi riduciamo tutto ciò all'astrologia, a delle sedicenti predizioni catastrofiche sulla fine del mondo elaborate in modo poco attendibile. Ma qui non si tratta solo di astrologia. Questa è religione, devozione vera, non superstizione. È il riconoscimento che non possiamo fare tutto da soli, ma che esiste qualcosa di più importante e di più potente rispetto a quello che l'uomo può costruire. È quello che serve alla nostra epoca: l'umiltà. 



Fonti:
- ZAFFAGNINI, Gianni, I calendari maya - Oltre le paure della fine, Edizioni Sonda, Casale Monferrato (AL), 2011.



2 commenti:

  1. Assolutamente sì. Umiltà. Peccato che tanti non sanno cosa significhi, peccato che tanti sono convinti d'averla quando il primo errore è ostentarla: l'umiltà è silente, come la neve. E' bianca, è evidente anche quando non se ne parla. Bellissimo post, come sempre, dolce stella! E che si faccia finalmente luce sul vero senso di quel benedetto calendario Maya, contro ogni catastrofica fine del mondo! :D ahah.. poveri Maya.. Un abbraccio forte forte. :) Complimenti!

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    1. Grazie dei complimenti, cara!
      L'umiltà presuppone tutta una serie di atteggiamenti che sono rarissimi da trovare oggi: l'ascolto, il mettersi in dubbio, la consapevolezza che non si finisce mai di imparare...mentre ora tutti sembrano sicurissimi di sé, dei propri principi e delle proprie scelte. Credo che dobbiamo ricordarci sempre che non siamo possessori della verità assoluta e che il mondo non è nelle nostre mani.
      Per quanto riguarda i Maya, sto scoprendo tantissime cose solo a partire dal calendario!
      Un bacione, fatina!

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