sabato 27 aprile 2013

Il Quinto Sole



Il nuovo mondo, però, non aveva ancora un sole che lo illuminasse, perché il Quarto Sole era andato distrutto durante il diluvio. Gli dèi si radunarono a Teotihuacán e si chiedevano chi si sarebbe incaricato di diffondere di nuovo la luce nel mondo. Il primo a offrirsi fu il bello e baldanzoso Tecuciztecatl. Tutti gli altri si guardavano l’un l’altro, ma nessuno si faceva avanti. Alla fine, esortato dagli altri, si presentò un dio malato di sifilide e dall’aspetto non proprio gradevole, chiamato Nanahuatzin.
 Sia Tecuciztecatl che Nanahuatzin dovevano superare delle prove, per diventare il Quinto Sole. Cominciarono entrambi con la cerimonia di espiazione di quattro giorni e quattro notti, durante i quali i due digiunarono e fecero penitenza. Sulla sommità di due piramidi, erette appositamente per il rituale, Tecuciztecatl e Nanahuatzin accesero ciascuno un fuoco per offrire in sacrificio dei doni agli dèi. Tecuciztecatl, abbigliato con splendide vesti, offrì agli dèi quanto vi era di più prezioso: anziché i tradizionali rami di abete, presentò delle costose piume di quetzal; invece di balle d’erba, si procurò balle d’oro; sostituì le solite spine di agave cosparse di sangue con pietre preziose, come la giada e il corallo. Al contrario, Nanahuatzin era il ritratto dell’umiltà e della modestia. Vestito di cenci, presentò come sacrificio delle semplici canne raccolte in piccoli fasci, delle palle di erba, delle spine di agave intrise del suo stesso sangue e le croste delle proprie piaghe, che bruciava come incenso.
 Quando la cerimonia di espiazione ebbe termine, gli dèi condussero Tecuciztecatl e Nanahuatzin presso un grande falò. Tutti si disposero a cerchio e, avvicinatisi a Tecuciztecatl, gli intimarono: “Gettati tra le fiamme!”. “Obbedisco”, rispose impassibile e baldanzoso Tecuciztecatl. Ma quando prese la rincorsa e arrivò vicino alle fiamme, si intimorì per il calore insopportabile che queste emanavano e si ritrasse. Tentò quattro volte di saltare nel fuoco ardente, senza riuscirci.
 A questo punto, gli dèi rivolsero la stessa richiesta a Nanahuatzin. Questi raccolse tutto il coraggio che aveva, prese la rincorsa e…si gettò nelle fiamme. Il suo corpo piagato scoppiettò a contatto con il fuoco e scomparve. Con il suo gesto impavido, l’umile e deforme Nanahuatzin si guadagnò il diritto a diventare il Quinto Sole.

Nanahuatzin si getta nel fuoco

 Colpito nell’orgoglio, anche Tecuciztecatl alla fine prese la rincorsa e sparì tra le fiamme. Si dice che subito dopo saltarono nel fuoco prima un’aquila e poi un giaguaro. Da allora, le punte delle piume dell’aquila sono color nero bruciato e il mantello del giaguaro è coperto di macchie nere. Da questo episodio nacque l’usanza di chiamare i migliori guerrieri “aquila-giaguaro”, premettendo l’aquila perché si era gettata nel fuoco prima del giaguaro.
 Dopo che Tecuciztecatl e Nanahuatzin erano bruciati nel fuoco, gli dèi attendevano frementi la nuova alba. Il cielo rosseggiava e tutti si guardavano intorno, impazienti di vedere dove sarebbe sorto il nuovo Sole. E finalmente, a est, ecco spuntare Nanahuatzin, tanto splendente che nessuno riusciva a guardarlo in volto.
 Subito dopo, accanto all’astro del giorno, apparve anche Tecuciztecatl, nelle vesti della Luna. Siccome non voleva essere da meno di Nanahuatzin, anche Tecuciztecatl brillava intensamente, tanto che gli dèi temettero che la Luna potesse superare il Sole in splendore. Così, una divinità afferrò un coniglio e lo lanciò sulla faccia della Luna, rendendo la sua luce meno forte di quella del Sole. Se ci fate caso, infatti, la forma dei crateri e dei mari della Luna è simile a quella di un coniglio. 




 Non importa lo sfarzo, l'arroganza, la sicurezza di sé. Quello che conta veramente è l'umiltà. Perché "anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro" (J. R. R. Tolkien).



 Fonti:

- GANERI, Anita, Miti aztechi e maya – Una raccolta di arte, storia e leggende centroamericane, IdeeAli, Cornaredo (MI), 2008;
- MORALES, Vinicio E., Miti maya e aztechi, Xenia, Milano, 1993;
- Wikipedia, voce "Cinque soli".

domenica 21 aprile 2013

I primi quattro soli

 E anche oggi cade la pioggia. Da qualche giorno sembra che il sole non voglia più uscire da dietro queste nuvole grigie. 
 Ma che ci possiamo fare? In fondo la primavera è anche questo: non solo il tepore e il primo caldo portato dal sole, ma anche temporali e burrasche improvvise, vento che scompiglia i capelli e che porta via gli ombrelli.
 Una cosa, però, si può fare. Voglio raccontarvi una leggenda che parla del sole. Chissà, magari la storia sarà propiziatoria! ;)
 Questo mito è uno dei più celebri nel mondo azteco: è la leggenda dei Cinque Soli e si colloca tra i miti cosmogonici più importanti dell'America centrale. Ora facciamo uno sforzo e immaginiamo di tornare indietro, indietro, fino a quando non esisteva niente.

 Il mondo era immerso in un’oscura tenebra. Nulla esisteva, se non un’immensa volta celeste nera. Ometeotl, il grande creatore, viveva al tredicesimo livello del cielo, il più alto. Egli generò con Xochiquetzal quattro figli, i quattro Tezcatlipoca: Quetzalcoatl, il Tezcatlipoca Bianco dell’Est, dio del vento; Huitzilopochtli, il Tezcatlipoca Blu del Sud, dio della guerra; Xipe Totec, il Tezcatlipoca Rosso dell’Ovest, dio dell’oro, dell’agricoltura e della primavera; e infine il Tezcatlipoca Nero del Nord, conosciuto con il nome di Tezcatlipoca, dio della notte, della magia e della Terra.  

Ometeotl e i quattro Tezcatlipoca

 Solo dopo seicento anni i quattro Tezcatlipoca si incontrarono e decisero di dare inizio alla creazione. Furono Quetzalcoatl e Huitzilopochtli a disporre le cose secondo un ordine. Essi crearono il fuoco e la prima coppia di esseri umani: Oxomoco, il primo uomo, e Cipactonal, la prima donna. Quetzalcoatl e Huitzilopochtli ordinarono loro di coltivare la terra e in più la donna, Cipactonal, doveva filare e tessere. A lei gli dèi diedero anche dei chicchi di mais, che le avrebbero conferito il potere di guarire le malattie, predire il futuro e fare incantesimi. Da Cipactonal e Oxomoco doveva avere origine la razza umana, destinata non al piacere e alla gioia, ma al lavoro, per volere degli dèi. Poi i due Tezcatlipoca stabilirono il calendario sacro e collocarono il regno dei morti a Mictlan, dove trasferirono il Signore e la Signora dell’inframondo. Dal tredicesimo cielo, Quetzalcoatl e Huitzilopochtli continuarono la creazione; scendendo verso il basso fecero l’acqua e, al suo interno, posero un grande coccodrillo, chiamato Cipactli. Verso la fine della creazione fu necessario il potere anche degli altri due Tezcatlipoca, Xipe Totec e Tezcatlipoca, per generare Tlaloc, dio della pioggia, e Chalchiuhtlicue, sua moglie, dea dei laghi, degli oceani e dei fiumi. Infine, le quattro divinità crearono la terra dal coccodrillo Cipactli. Per questo la Terra viene rappresentata come una dea distesa su un caimano, perché da esso venne tratta.

 Quando tutte queste opere vennero concluse, il dio della notte, Tezcatlipoca, salì al cielo e si trasformò nel sole. Ebbe così inizio il primo dei quattro mondi, detto il Primo Sole. In quell’epoca non esistevano ancora gli esseri umani, ma dei giganti dalla forza erculea, che vivevano pacificamente cibandosi di ghiande, bacche e radici.
 Trascorsero in questo modo 676 anni. In questo periodo si acuì la rivalità tra Tezcatlipoca e Quetzalcoatl, che mirava a prendere il posto del fratello. Per questo, Quetzalcoatl un giorno afferrò un enorme bastone e colpì Tezcatlipoca con tutta la forza di cui era capace, spedendolo nelle profondità degli abissi. Lì, Tezcatlipoca si trasformò in giaguaro e, nell’oscurità in cui era ripiombato il mondo dopo la sua assenza, balzò fuori dalle acque, chiamando a raccolta tutti i giaguari. Questi andarono per mari e per monti finché non uccisero tutti i giganti. Dopo aver compiuto la sua terribile vendetta, Tezcatlipoca assurse al cielo, dove è ancora visibile nella costellazione dell’Orsa Maggiore. Ecco perché sembra che questa costellazione si tuffi in acqua.

Tezcatlipoca e Quetzalcoatl


 Dopo questi avvenimenti, Quetzalcoatl divenne il Secondo Sole, detto il Sole del vento. La terra si popolò di esseri più simili agli uomini nelle fattezze, che si nutrivano solo di pinoli. Ma dopo 364 anni Tezcatlipoca ritornò per mettere fine al Sole del vento. Il Tezcatlipoca Nero provocò una violenta tempesta con un vento così forte che spazzò via Quetzalcoatl e gli abitanti della terra. Quei pochi che sopravvissero all’uragano si trasformarono in scimmie. Il mondo era precipitato di nuovo nell’oscurità.

 Stavolta fu Tlaloc, il dio della pioggia, a prendere il posto del Sole, dando inizio alla terza era, il Sole della pioggia. Gli esseri umani del Terzo Sole mangiavano solo un cereale simile al frumento, che cresce in acqua. Alcuni dicono che fu in quest’epoca che gli uomini scoprirono l’agricoltura e iniziarono a coltivare il mais e altri cereali.
 Erano passati 312 anni del regno di Tlaloc, quando Quetzalcoatl, ancora rabbioso per quanto gli era successo, risvegliò un vulcano, che fece piovere sulla terra fuoco e fiamme. Così, in un solo giorno, Tlaloc, il Terzo Sole, venne abbattuto e gli esseri umani superstiti vennero trasformati in tacchini, cani e farfalle.

Tlaloc, il dio della pioggia

 Quando ebbe ultimato la distruzione, Quetzalcoatl insediò al posto del Sole la moglie di Tlaloc, Chalchiuhtlicue, dea dei laghi, degli oceani e dei fiumi. Nell’era del Quarto Sole, gli esseri umani si alimentavano di un seme dall’aspetto simile a quello del mais. Dopo 676 anni fu la stessa Chalchiuhtlicue a porre fine al proprio regno. Chalchiuhtlicue, nell’ultimo anno del Quarto Sole, fece piovere dal cielo una tale quantità d’acqua, che tutta la terra venne sommersa e tutti gli uomini morirono annegati. Da questi ebbero origine tutti i pesci che abitano le acque. Il cielo si era fatto così pesante che cadde sulla terra, distruggendola.

Chalchiuhtlicue, moglie di Tlaloc e dea delle acque
 
 Dopo queste vicende, Tezcatlipoca e Quetzalcoatl dovettero mettere da parte le reciproche rivalità per ricostruire il mondo. Per prima cosa, crearono quattro uomini, perché li aiutassero a risollevare il cielo. Quindi sconfissero il mostro marino Tlaltecuhtli, che si era insediato nelle profondità dell’oceano dopo il grande diluvio. Tezcatlipoca e Quetzalcoatl uccisero Tlaltecuhtli e spezzarono il suo corpo il due parti: la coda venne lanciata in aria, per formare il cielo e le stelle; la testa, invece, venne utilizzata per formare la terra. I capelli di Tlaltecuhtli divennero alberi, fiori e arbusti, la sua pelle diede origine all’erba; gli occhi formarono grotte e sorgenti, la bocca originò fiumi e caverne; il naso, infine, diede origine a profonde valli e alte montagne.
 Tutto era compiuto, ma mancavano ancora gli astri. Era venuto il momento di decidere chi dovesse essere il Quinto Sole.

- Continua -


  Fonti:
- GANERI, Anita, Miti aztechi e maya – Una raccolta di arte, storia e leggende centroamericane, IdeeAli, Cornaredo (MI), 2008;
- MORALES, Vinicio E., Miti maya e aztechi, Xenia, Milano, 1993;
- Wikipedia, voce "Cinque soli".

martedì 16 aprile 2013

La rusalka - La sirena dell'Est

Nuotava russalca pel fiume azzurrino,
Da luna nel pieno schiarata;
Cercava spruzzare su fino alla luna
La schiuma d'argento dell'onda.

Sonoro torcendosi il fiume cullava
Le nubi riflesse nell'onda;
Ed ella cantava, ed il suono del canto
Giungeva alle ripide sponde.

Ed ella cantava: "Da me giù nel fondo
Ribrilla il bagliore del giorno;
Le frotte dorate dei pesci là vanno,
Là sono città di cristallo.

"E là, su guanciale di sabbie brillanti,
All'ombra dei giunchi là dorme
Guerriero già preda dell'onda gelosa,
Guerriero di terra lontana.

"Lisciare gli anelli dei ricci di seta
Amiamo nell'ombra notturna,
E in fronte e sui labbri, di mezzodì all'ora,
Baciammo il bel giovane spesso.

"Ma ai baci più ardenti, non so perché mai,
Rimane egli gelido e muto;
Dorme egli, e col capo poggiato al mio petto
Non spira, né in sogno bisbiglia!...".

Così la russalca sul fiume turchino 
Cantava in oscura mestizia;
E il fiume, sonoro scorrendo, cullava 
Le nubi riflesse nell'onda.

["La russalca", Michail Lermontov]


 Non vi ricordano nulla questi bellissimi versi?
Si parla di un fiume, di una creatura che nuota nelle acque dove dimora e che corteggia il corpo di un guerriero sul fondo del greto. 
 Non vi pare che si parli di un'ondina? (cfr. "Il canto di Lorelei" in questo blog)
Ebbene, si tratta sicuramente di una figura simile all'ondina germanica, solo che fa parte del folclore russo. I versi di Michail Lermontov, un poeta russo romantico che amo moltissimo, ci dicono che si chiama rusalka (russalca, nella grafia dell'edizione tradotta da Tommaso Landolfi). Vediamo dunque che caratteristiche assume l'ondina nella tradizione mitologica russa.

Una rusalka alle pendici di una cascata

Etimologia

 L'etimologia popolare fa derivare il termine rusalka da ruslo, parola che ri riferisce a un piccolo corso d'acqua, un ruscello.
 Questa figura è presente in tutta l'area slava, ma assume nomi e aspetti diversi a seconda della zona. In Russia, oltre a rusalki, ci si riferisce a loro come bereginy (dal termine bereg, cioè "sponda", "riva" di un fiume), mentre nella penisola balcanica diventano samovily per i Bulgari e vily per i Croati. 

Gli spiriti dell'acqua

 Le rusalki sono generalmente delle creature acquatiche, che popolano laghi e fiumi. Sono pertanto simili alle ninfe del mondo greco, ma queste creature del folclore slavo hanno in sé una componente molto più malinconica, simile a quella delle banshee irlandesi (cfr. "L'urlo della banshee" in questo blog). Infatti, se diamo credito a Zelenin, la rusalki erano le anime di donne che avevano subito una morte violenta o prematura, come nel caso delle donne suicide a causa di un amore infelice. Anche le donne rimaste incinte prima del matrimonio erano condannate a passare la loro vita dopo la morte sulla terra, nella forma di questi spiriti inquieti.
 Un'altra versione, che poco si discosta da quella appena esposta, vuole che le rusalki siano donne morte nei pressi di un fiume o di un lago, annegate e uccise dagli amanti o addirittura dalle loro madri. Queste, dopo la morte, infestano le acque presso cui sono state uccise, ma la loro natura non è necessariamente malevola. Questi spiriti possono però trovare pace se la loro morte viene vendicata. Solo allora potranno lasciare la terra e dissolversi.
 Altre tradizioni invece affermano che le rusalki sono le anime dei bambini morti prima di ricevere il battesimo, di solito nati fuori dal matrimonio o abbandonati dalle madri. Questi spiriti vagano nei boschi in cerca di qualcuno che li battezzi per trovare finalmente pace. Nonostante siano anime infantili, gli spiriti non sono affatto innocenti e non è raro che attacchino gli esseri umani.
 Infine, possono diventare rusalki anche donne ordinarie, che hanno la sfortuna di imbattersi nel corteo notturno di queste creature. Queste donne vengono catturate dalla folla delle rusalki e non possono più fare ritorno. La mattina dopo, la famiglia della donna "rapita" trovava una ghirlanda di fiori vicino casa.   

L'aspetto

 Come la loro origine, anche l'aspetto delle rusalki varia considerevolmente a seconda della tradizione culturale.
 Generalmente sono raffigurate come giovani fanciulle molto attraenti con capelli lunghi, (solitamente verdi, ma anche di altri colori) che devono sempre essere umidi. Infatti, se i capelli di una rusalka si asciugano, questa muore. Ma basta che una rusalka si pettini i capelli per far sgorgare acqua dalla chioma. Per questo motivo, una delle attività ricorrenti delle rusalki, oltre a cantare e a ballare nei boschi, è proprio quella di pettinarsi i capelli in riva al fiume.
 Questi spiriti femminili a volte sono descritti come esseri metà donne e metà pesci, altre come Amazzoni o come creature notturne dall'aspetto cupo e cadaverico. Nella regione di Saratoff, per esempio, le rusalki sono dei veri e propri demoni dalle sembianze sgradevoli, gobbi e pelosi, che afferravano i passanti con un lungo artiglio di ferro con lo scopo di porre ai malcapitati delle domande. Se questi non sapevano rispondere, venivano torturati dalle rusalki, che facevano loro il solletico fino a farli sbavare, per poi trascinarli nelle acque profonde. 
 In altre zone, come la Bielorussia o tra gli Slavi occidentali, le rusalki perdevano il carattere acquatico e rappresentavano solo degli spiriti dei campi e dei cereali. Questa accezione delle rusalki recupera la loro connessione con la fecondità sia delle donne, sia della terra e dei raccolti.

Terribili demoni o creature fatate?

 Come le ondine e le ninfe, anche le rusalki possono essere creature pericolose. Non per niente, sono famose per essere assassine di uomini. Grandi seduttrici, attirano gli uomini presso le acque che abitano con il loro canto melodioso per poi affogarli. Oppure, potevano uccidere un uomo solamente con la loro risata o costringendolo a ballare fino allo sfinimento.
 Tuttavia, alcune rusalki si innamoravano veramente di uomini mortali. Possono arrivare a lasciare la propria abitazione acquatica per seguire l'uomo che amano, a una condizione: che questi rimanga loro fedele. Se l'uomo amato tradiva una rusalka, questa tornava immediatamente da dov'era venuta, e il suo abbraccio avrebbe provocato la morte di ogni essere umano.  

 Un periodo in cui bisognava essere molto cauti nell'avvicinarsi ai corsi d'acqua era la Settimana delle rusalki, che cadeva in occasione della festività pasquale di Pacha Rosarum o Rosalia. Tale festività, in origine, faceva riferimento a una festa delle rose, come indica il termine latino, passata poi a designare la settimana di Pentecoste. In questo periodo, che si situava tra maggio e giugno, le rusalki abbandonavano le acque per sedersi sui rami dei platani, i loro alberi sacri, e per ballare. 
 A questo proposito, è interessante notare come lo studioso Max Vasmer affermi che il termine rusalka deriva proprio dai balli in cui si esibivano le giovani donne durante la settimana di Pentecoste. Questo, infatti, era un periodo di festa per tutti; tutti dovevano astenersi dal lavoro, altrimenti le rusalki avrebbero punito severamente chi avesse trasgredito questa regola, soprattutto le donne. Inoltre, era sconsigliabile nuotare nei fiumi durante la settimana delle rusalki, poiché era più facile cadere preda di questi spiriti.
 La consuetudine di festeggiare le rusalki era talmente radicata che si è mantenuta fino ai giorni nostri, soprattutto nella cultura polacca e ucraina. In queste nazioni, all'inizio della primavera, si gettano nell'acqua di laghi e fiumi delle corone di fiori, accompagnando il gesto con canti melodiosi.
 
Una rusalka raffigurata con la coda di pesce


 È interessante vedere come in più culture siano presenti creature femminili, spesso acquatiche, con una natura ambigua. Forse anche gli uomini antichi erano consapevoli del grande potere che le donne esercitavano su di loro, così desideravano mettere in guardia i più giovani sui rischi che correvano se si fossero lasciati sedurre da una bella donna.
 Per la serie, il mondo sarà anche degli uomini, ma sono le donne a controllarlo.



Fonti:
- Wikipedia (italiano), voce "Rusalki";
- Wikipedia (spagnolo), voce "Rusalka";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Rusalka";
- LERMONTOV, Michail, Liriche e poemi, trad. di Tommaso Landolfi, Adelphi Edizioni, Milano, 2006.

lunedì 1 aprile 2013

Tyr - La guerra e la giustizia

 Lasciamo ora il paradiso selvaggio centroamericano dei Quiché e dirigiamoci ancora verso il Vecchio Continente. Niente foreste tropicali, niente pappagalli ara, né tiratori di cerbottane.
 Siamo al Nord, dove il clima è gelido e bisogna avere la scorza dura per affrontare tutte le difficoltà di queste terre. E sicuramente gli antichi popoli che abitavano quei territori erano stati forgiati da un clima rigido e inospitale.
 Esploriamo oggi la mitologia norrena, piena di battaglie, di guerre e di avvenimenti piuttosto lugubri. Del resto, il sole si faceva sentire meno qui, rispetto ad altre zone. 
 Voglio parlare di una divinità nordica, che non è tra le più conosciute ma che riveste una certa importanza: Tyr.    

Tyr


Etimologia

 La forma tedesca originaria recitava Tiuz e corrispondeva all'alto tedesco Ziu o Zio. Il nome con cui Tyr veniva identificato dalle popolazioni germaniche era Tīwaz, una delle tre maggiori divinità menzionate da Tacito. Tyr rappresentava una delle divinità più antiche e, grazie a studi etimologici approfonditi, possiamo ipotizzare che sia l'originario dio celeste indoeuropeo.
 Il nome Tyr significa proprio "dio" e  la profonda devozione che i popoli del Nord riservavano a questa divinità si può vedere ancora oggi, se consideriamo i giorni della settimana in lingua inglese. I Romani chiamavano il giorno dedicato a Tyr Martis dies, ovvero martedì, "giorno di Marte", l'equivalente romano del dio nordico. Per gli anglosassoni, il "giorno di Marte" diventava Tiwesdaez, che si trasformerà poi nell'attuale Tuesday, "martedì" in lingua inglese.  

Tyr, il giudice

 In origine, Tyr era forse la divinità più importante tra gli Asi (cfr. "Asi e Vani" in questo blog). La sua figura, infatti, richiamava il greco Zeus e il romano Giove, entrambe divinità uraniche, con i quali Tyr condivideva il possesso del tuono e della folgore.
 Ma il tratto distintivo di Tyr era quello di essere il protettore della guerra e della vittoria. Prima di ogni battaglia, i guerrieri, frementi per la tensione, rivolgevano a lui le loro preghiere e stringevano nervosamente le lance e le spade su cui era inciso il nome di Tyr. Ogni arma era dedicata a questo dio, richiamato dal potere magico delle rune, che imprimevano il suo nome e la sua forza nelle lame che in pochi istanti sarebbero divenute rosse di sangue. Per propiziarsi la vittoria, i guerrieri si chinavano sulle armi incise e pronunciavano tre volte il nome di Tyr, a cui stavano chiedendo protezione.

 Vi è una distinzione fondamentale da fare tra Tyr e quello che i Romani avevano individuato come suo corrispondente, Marte. Tyr, a differenza di quest'ultimo, non amava la guerra fine a se stessa. Non godeva, cioè, della violenza esasperata e del sangue versato, ma concepiva la guerra solo come il mezzo estremo per risolvere una contesa tra due parti in conflitto. Ecco perché Tyr era anche il dio del diritto, che spesso fungeva da giudice.   

 Ciò riflette una visione peculiare della guerra, diffusa tra le popolazioni nordiche: non solo un puro scontro, ma un modo di risolvere le controversie giudiziarie. 
 Una volta detto questo, è facile comprendere il motivo per cui gli scontri armati nel Nord Europa erano regolati da norme che per un certo verso vigevano anche nei tribunali. I contendenti sceglievano il luogo e la data della battaglia e, quando questa era terminata, si impegnavano solennemente a rispettarne il verdetto: chi ne usciva vincitore era dalla parte della ragione, mentre gli sconfitti, evidentemente, avevano torto. Questa era la giustizia del Nord.

 Questo tratto è presente anche nell'appellativo che i Romani diedero a questa divinità: Mars Thingus, il "Marte del Thing", dove il thing era una riunione in cui si tenevano accesi dibattiti riguardo a questioni giuridiche. In questa assemblea si brandivano delle lunghe lance, simboleggianti la volontà popolare, che in caso di assenso venivano alzate e abbassate nel caso contrario.
 Tuttavia spesso tali dispute raggiungevano un livello tale di asperità, che venivano trasferite dal thing al campo di battaglia. Aveva luogo così lo Schwertding, il "thing delle spade", dove Tyr scriveva la propria sentenza con il sangue degli sconfitti.  

Tyr il monco

 Per essere una divinità, bisogna dire che Tyr ha una caratteristica davvero inusuale: è privo della mano destra. Questa mutilazione è frutto di un sacrificio che Tyr fece per il bene degli Asi e che è raccontato in un mito che ha per protagonista il malvagio lupo Fenrir.

 All'alba dei tempi Loki, il dio ingannatore, generò con l'oscura gigantessa Angrbodha il lupo Fenrir, dotato di fauci micidiali. Una volta cresciuto, il lupo si aggirava per il regno di Asgard, terrorizzando gli abitanti. Solo Tyr si avvicinava a lui per dargli da mangiare. Si diffuse poi una terribile profezia, secondo la quale Fenrir avrebbe sbranato Odino e ucciso altre divinità durante il crepuscolo degli dèi.
 La situazione era terribile e gli dèi Asi si riunirono in un'assemblea per trovare una soluzione. Bisognava incatenare Fenrir e spedirlo il più lontano possibile da Asgard. Perciò, Odino in persona fece fabbricare una catena dalle maglie spesse e resistenti, chiamata Loedhingr.
 Ma non era facile incatenare Fenrir. Dunque, anziché usare la forza, che sarebbe risultata insufficiente contro Fenrir, gli dèi ricorsero all'astuzia. Gli Asi portarono la catena da Fenrir e lo sfidarono a una prova di forza. L'enorme lupo accettò e si fece legare. Gli dèi stavano quasi per esultare, quando Fenrir si liberò da Loedhingr solo con un piccolo strattone. 
 Dopo quell'episodio, il lupo riprese indisturbato a seminare il terrore ad Asgard. Fu una pesante sconfitta per gli dèi, ma gli Asi non si diedero per vinti e fecero forgiare una catena ancora più potente della prima, che chiamarono Dromi. Stavolta erano sicuri che nemmeno la forza brutale di Fenrir sarebbe stata sufficiente a spezzare una catena di tale fattura, che avrebbe finalmente inibito quell'orrenda bestia.  
 Così, gli Asi si recarono nuovamente dal lupo, riproponendogli la stessa sfida. Fenrir, che non era stupido, si accorse di quanto Dromi fosse pesante e titubò alla proposta degli Asi. Ma quando questi iniziarono a prendersi gioco di lui e della sua codardia, si convinse e indossò la grossa catena. Dromi era davvero pesante e resistente, e Fenrir ansimava nella sua prigione metallica. Gli dèi già festeggiavano per aver imprigionato la belva ma Fenrir, punto nell'orgoglio, chiamò a raccolta tutte le sue forze e provò ancora a liberarsi. La rabbia e la violenza del lupo furono talmente potenti da spezzare anche Dromi.
 Anche questa volta, gli dèi erano stati sconfitti. Nessuna catena poteva imprigionare Fenrir. Ma Odino aveva ancora un asso nella manica; se la forza non poteva sconfiggere Fenrir, la magia sarebbe stata la sua dannazione. Odino inviò un suo messo presso gli Elfi oscuri (i nani N.d.A.), che abitavano le viscere della terra, e fece creare Gleipnir, un laccio sottile e fragile, composto da sei elementi: il rumore del passo di un gatto, i peli della barba di una donna, le radici di una montagna, i tendini di un orso, il respiro di un pesce e lo sputo di un uccello. In questi elementi dimorava la magia che avrebbe stregato Fenrir.
 Ancora una volta, gli dèi si recarono da Fenrir per sfidarlo. Il lupo, però, che aveva ereditato la scaltrezza del padre Loki, quando vide il fragile laccio sospettò il tranello e ideò uno stratagemma per uscire da quella situazione. Egli avrebbe accettato la sfida solo se uno degli dèi avesse messo una mano tra le sue fauci mentre veniva legato.
 Era il colpo di grazia. Fenrir aveva capito che si trattava di una trappola e gli dèi erano disperati. Ma in quel momento, Tyr si fece avanti e con coraggio infilò la mano destra nelle fauci del lupo. Ora Fenrir non poteva più sottrarsi alla prova. Gli dèi legarono Fenrir e il laccio si strinse attorno al corpo della bestia. Fenrir si dimenava, ma non riusciva a liberarsi. Al colmo dell'ira, tranciò di netto la mano di Tyr che teneva tra le mascelle, senza che il dio emettesse alcun gemito.
 Tutti, a parte Tyr, urlarono di gioia nel vedere il nemico finelmente imprigionato. Fenrir venne legato a una roccia, la quale venne conficcata nelle viscere della terra grazie a un gigantesco martello. Come ultima punizione, gli Asi infilarono una spada nelle fauci di Fenrir. Costui, dimenandosi, emetteva in continuazione sangue e bava, che alimentavano il fiume sotterraneo Von.   
 Fenrir soffrirà fino a quando arriverà il giorno del crepuscolo degli dèi. Allora, lo spaventoso lupo riuscirà a leberarsi dai suoi sigilli e divorerà Odino nella battaglia finale. Quel giorno, anche Tyr cadrà per mezzo di Gamr, il cane custode degli inferi.

Tyr mette la sua mano nelle fauci di Fenrir


 Non conoscevo questa divinità prima di scrivere questo post, ma ho ammirato profondamente il suo coraggio. Sicuramente è una divinità della guerra molto particolare, perché incorpora anche la giustizia, che non sempre accompagna gli scontri bellici.
 Inoltre, lui per primo si sacrifica per il bene della comunità. A mio parere, è una figura da ammirare e a cui dobbiamo ispirarci in questi tempi dominati da lupi più pericolosi e subdoli di Fenrir.


Fonti:
- Mitologia e leggende nordiche, "Tyr, il signore delle battaglie";
- Wikipedia, voce "Týr";
- "Enciclopedia Italiana" Treccani, voce "Tyr"; 
- Enciclopedia Treccani, voce "Tyr".