martedì 28 maggio 2013

Il gigante d'argilla: il golem

 "polvere sei e polvere tornerai!"
 [Genesi 3, 19] 

 Queste sono le parole con le quali Dio maledice Adamo dopo che questi, insieme alla moglie Eva, si era cibato del frutto proibito.
 Una frase senza dubbio suggestiva, che ogni volta che viene pronunciata rammenta al genere umano le sue umili origini. Secondo la Bibbia, infatti, l'uomo venne creato con la terra e con la saliva di Dio. Provate a pensare al suolo su cui camminiamo ogni giorno, che giace al di sotto del cemento nelle città o che è soffice e malleabile in campagna. Pensate alle cavità che portano nel profondo della terra, oscure e a volte pericolose. Questo elemento è sempre stato percepito come uno dei cardini del mondo e per questo è presente in svariati modi nelle tradizioni mitologiche antiche. Molte creature immaginarie erano ritenute di origine ctonia, ovvero legate alle viscere della terra. Questo elemento sarà protagonista del post di oggi, perché voglio presentarvi uno degli esseri che da essa trae origine: il golem

Etimologia

 Probabilmente la parola deriva dall'ebraico-aramaico gelem, che significa "materia inerte", "embrione", "materia grezza". Si tratta di un termine che compare nella Bibbia, nella parte dell'Antico Testamento, al Salmo 139, 16:

I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo
e nel tuo libro erano tutti scritti
i giorni che mi eran destinati,
quando nessuno d'essi era sorto ancora.


 Siamo nello stadio intermedio della creazione dell'uomo, quando Dio ha già creato il corpo dell'essere umano, ma non gli ha ancora infuso l'anima. Si tratta dunque di un richiamo alla creazione di Adamo, il primo uomo, progenitore di tutta l'umanità. 
 La stessa parola è riportata nel Talmud, un altro importante libro della religione ebraica che contiene la legge orale, completamento della Torah, la legge scritta. Anche in quest'opera la parola gelem compare nel commento all'episodio della creazione,  per definire un uomo allo stato primordiale, una sorta di embrione ricavato dal fango prima di ricevere il soffio vitale da Dio.
 È particolarmente significativo che, al giorno d'oggi, la parola ebraica golem sia usata anche per identificare un robot. In yiddish, però, il vocabolo fa riferimento a uno sciocco.

La parola che dà vita

 La concezione del golem è profondamente radicata alla Cabala, una dottrina esoterica e mistica ebraica secondo cui ogni elemento del creato deriverebbe dalla scomposizione e composizione dei numeri e delle lettere dell'alfabeto ebraico, soprattutto da quelle che compongono il nome di Dio. Perciò la cultura ebraica ritiene che all'origine dell'universo vi sia la parola.

 La parola che dà vita è anche alla base della creazione di un golem; solo chi veniva a conoscenza dei misteri della Cabala e dei poteri legati al nome di Dio poteva generare questo gigante di fango. Costui si anima quando sulla sua fronte vengono tracciati i segni Aleph, Mem e Thau (אמת), gli stessi segni che nella Cabala compongono il nome di Adamo. 
 Un'altra tradizione sostiene invece che la lettura di questi tre segni dovrebbe essere "Emet", cioè "verità".  
 In qualsiasi modo si legga, questa parola non serviva solo a dare vita alla creatura, ma anche a togliergliela.  Quando si voleva neutralizzare un golem, infatti, bastava cancellare dalla sua fronte il primo dei tre segni, Aleph [ricordiamo che la scrittura ebraica procede da destra a sinistra, quindi Aleph rappresenta il primo segno a partire da destra NdA]. I segni rimanenti, Mem e Thau, formavano la parola Meth, "morte" (מת), che segnava la fine del gigante d'argilla, il quale si decomponeva all'istante.



Le leggende sul golem

 Da queste premesse, nel corso dei secoli sono nate varie leggende sul golem, in cui questo gigante di fango ricopriva ruoli sempre diversi: da fedele servitore domestico del padrone (colui che lo aveva creato), difensore della comunità ebraica, ma anche un mostro simile a Frankenstein, che sfugge al controllo del suo creatore. Tutte le varie leggende, però, presentano il golem come una creatura dotata di straordinaria forza e resistenza a cui un uomo colto ed esperto nei misteri dell'alfabeto ebraico dava vita. Nonostante la sua forza incredibile, il gigante d'argilla non aveva la facoltà di pensare, di parlare e di provare sentimenti, poiché privo di anima. Il golem diveniva così schiavo del suo creatore, che gli dava ordini scritti su dei foglietti di carta riposti poi nella bocca della creatura. In ogni caso, la creazione del golem era ritenuta una forma di magia, solitamente nera.

 Una delle fonti più antiche che parlano dell'esistenza di un golem è rappresentata da Ahimaaz ben Patiel, cronista del XII secolo, che ci parla della scoperta nei pressi di Benevento di un esemplare di questa creatura da parte del rabbino Ahron di Baghdad. Si trattava di un giovane che visse nel IX secolo e a cui era stata donata vita eterna grazie a una pergamena. Sempre Ahimaaz, ci informa che nel IX secolo, nella città di Oria, abitavano dei saggi ebrei in grado di creare golem. Questi, però, in seguito a un'ammonizione divina, smisero di praticare questa attività.

 Ma è intorno al XVI e XVII secolo che le leggende sul golem si moltiplicano.
Curioso è l'episodio che ha per protagonista il rabbino Salomon Ibn-Gabriol di Valencia, il quale nel 1508 creò una versione femminile del golem. A causa di questo, Salomon venne accusato di stregoneria dal sovrano spagnolo, che era un fervente cattolico, e quindi condannato alla pena capitale. Ma il rabbino si salvò mostrando come la creatura diventasse inoffensiva appena si fosse cancellata la parola scritta in fronte. Il golem divenne polvere e Salomon non venne giustiziato.
 Nella Polonia del XVII secolo, una lettera recante l'anno 1674 riferisce la vicenda del rabbino Elijah Ba'al Schelm di Chelm, che diede vita a un golem, il quale divenne talmente grande che il suo padrone perse il controllo su di lui. Tuttavia, il rabbino riuscì a convincere la propria creatura a togliergli le scarpe. Mentre il golem era chinato verso di lui, Elijah cancellò l'Aleph dalla fronte del gigante, che cadde all'istante travolgendo anche colui che l'aveva creato.

 La leggenda più famosa sul golem però è ambientata nel ghetto ebraico di Praga, che riprende la versione polacca del golem di Chelm. Erano gli anni del regno di Rodolfo II, a cavallo tra il XVI e XVII secolo e a Praga viveva il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel, che fabbricava golem per sfruttarli come suoi servi. Un giorno, però, il rabbino perse il controllo di uno dei suoi giganti, che iniziò a distruggere tutto ciò che incontrava. Questo golem, però, divenne il difensore della comunità ebraica nella città di Praga, che durante il regno di Rodolfo II attraversò un momento di particolare prosperità. 



 Il golem ebraico è un antenato della creatura del dr. Frankenstein, che porrà i primi quesiti sui limiti della scienza. Per non parlare dei robot, figure che spopoleranno nella letteratura fantascientifica del '900.
 Se il golem è una figura che si ricorda anche oggi, magari nelle vesti di una macchina impazzita che vuole distruggere il genere umano, significa che il messaggio che veicola questa figura è più che mai attuale: l'uomo non può sostituirsi a Dio, nemmeno se il suo potere si chiama scienza.


Fonti:
- Wikipedia, voce "Golem";
- Scrittura Immanente, "Il golem";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Golem"; 
- CALABRESI, Stelio "La leggenda del golem".

domenica 26 maggio 2013

Fatti conoscere su Kreattiva

Grazie a Queen Flora ho scoperto questa bellissima iniziativa promossa da Kreattiva.
Si chiama Fatti Conoscere su Kreattiva e credo che sia molto utile per chi, come me, è ancora una neofita di Blogger e che non ha molte conoscenze.
Spargete la voce se siete interessati!


mercoledì 8 maggio 2013

Tiresia: le avventure di un indovino

 Futuro. 
 In questa parola si condensano tutte le nostre aspirazioni, speranze, paure. Tanti di noi vorrebbero sapere cosa ci riserva il nostro fato. Quest'ansia, prima di noi, tormantava anche i nostri antenati, che desideravano ardentemente conoscere quello che sarebbe avvenuto. Perciò, in ogni cultura erano presenti figure che avevano il dono della preveggenza, rispettate da tutti.
 In particolare, nella mitologia greca si trovano tanti indovini e veggenti, le cui profezie annunciavano il fato ineluttabile di chi li consultava. Ma uno di questi ha una storia davvero curiosa, che ho sentito di recente durante le letture di Roberto Benigni della Divina Commedia. Così oggi mi piacerebbe condividere con voi la storia di uno degli indovini più importanti dell'antica Grecia: Tiresia.   

 Come Tiresia divenne veggente

 Figlio di Evereo e della ninfa Cariclo, Tiresia visse a Tebe, una città infelicemente protagonista nella mitologia greca a causa delle sue numerose disgrazie. L'indovino tebano all'inizio era un uomo come tanti altri, finché un giorno, passeggiando sul monte Citerone (o il monte Cillene, come riferiscono altre versioni), incontrò due serpenti che si stavano accoppiando. Infastidito dalla scena, Tiresia colpì la femmina e in quel preciso momento si trasformò in una donna.
 Da quel momento, Tiresia visse nei panni femminili per sette anni, sperimentando ogni tipo di piacere. Finché un giorno si imbatté di nuovo in due serpenti nel bel mezzo di un atto amoroso. Forse memore di quanto era accaduto sette anni prima, Tiresia stavolta colpì il maschio e tornò a essere un uomo.     

 Questa curiosa esperienza arrivò anche agli orecchi degli dèi dell'Olimpo. Una volta, tra Zeus ed Era sorse una disputa su quale dei due sessi provasse più piacere durante l'amplesso: il padre degli dèi sosteneva che fossero le donne a trarre il maggior beneficio, mentre Era insinuava che fossero gli uomini. Siccome nessuno dei due voleva cedere, entrambi decisero di interrogare Tiresia in merito, dato che egli aveva sperimentato entrambe le condizioni. Egli rispose che, se il piacere si componesse di dieci parti, alla donna ne spettano tre volte tre, mentre all'uomo una sola.
 Alle parole di Tiresia Era, che non voleva che il segreto del genere femminile fosse svelato, si infuriò a tal punto che per punizione gli tolse la vista. Ma Zeus, che non aveva scordato che Tiresia l'aveva aiutato ad avere ragione della moglie, gli diede il dono della profezia e gli concesse di vivere per sette generazioni. 


Tiresia colpisce i serpenti

 Un'altra versione del mito afferma che fu Atena a togliere le vista a Tiresia. Questi era un giovane pastore quando sorprese Atena nuda mentre faceva il bagno insieme a sua madre, la ninfa Cariclo. La vergine Atena divenne una furia e, sfiorando gli occhi del giovane, gli tolse la vista. Tuttavia Cariclo intervenne in difesa del figlio e le sue suppliche ammorbidirono il cuore della dea, che conferì a Tiresia il dono della profezia e un bastone di corniolo per individuare gli ostacoli che avrebbero intralciato i passi del cieco.  

 La morte
 
 Sulla morte di Tiresia esistono diverse versioni mitologiche, che si ricollegano tutte alla spedizione degli Epigoni contro Tebe.  In passato, già sette grandi eroi avevano combattuto contro la città, come racconta Eschilo nei Sette contro Tebe, e dieci anni dopo i loro figli tornarono a Tebe per vendicarne la morte. 
 Si dice che durante l'attacco degli Epigoni Tiresia fuggì dalla città insieme alla figlia Manto, anch'ella profetessa. Ma durante la fuga, l'indovino bevve dalla fonte Telflussa dell'acqua gelata, che gli causò una congestione polmonare, portandolo alla morte.
 Un altro mito racconta che gli Epigoni riuscirono a fare prigionieri Tiresia e Manto, ma che, nutrendo un profondo rispetto per i due veggenti, scelsero di mandarli a Delfi per consacrarli al dio Apollo. Ma Tiresia, già ultracentenario, morì di stanchezza durante il viaggio, ancor prima di giungere nella città sacra ad Apollo. 

 La natura di Tiresia era talmente prodigiosa che l'indovino persuase Ade, il signore dell'oltretomba, a mantenere la facoltà della divinazione anche da morto. Ciò è evidente nel libro XI dell'Odissea di Omero, dove Ulisse incontra l'ombra di Tiresia nel suo viaggio nell'aldilà. L'indovino in questa occasione svela all'eroe il motivo delle sue infinite peregrinazioni: Poseidone gli era ostile, perché Ulisse aveva ucciso il figlio Polifemo. Tuttavia, Tiresia annuncia anche che l'eroe sarebbe riuscito a tornare alla sua amata Itaca.     


Tiresia e Ulisse

 Tiresia nella letteratura

 Le apparizioni di Tiresia nel mondo letterario sono davvero molte, poiché il tebano è ritenuto l'indovino per antonomasia.
 La storia della sua trasformazione è raccontata dal poeta latino Ovidio nel libro III delle Metamorfosi:

 Mentre in terra avvenivano per volere del fato queste cose
e l'infanzia di Bacco, tornato a nascere, scorreva tranquilla,
si racconta che, reso espansivo dal nèttare, per caso Giove
bandisse i suoi assilli, mettendosi piacevolmente a scherzare
con la sorridente Giunone. "Il piacere che provate voi donne",
le disse, "è certamente maggiore di quello che provano i maschi."
Lei contesta. Decisero di sentire allora il parere
di Tiresia, che per pratica conosceva l'uno e l'altro amore.
Con un colpo di bastone aveva infatti interrotto
in una selva verdeggiante il connubio di due grossi serpenti,
e divenuto per miracolo da uomo femmina, rimase
tale per sette autunni. All'ottavo rivedendoli nuovamente:
"Se il colpirvi ha tanto potere di cambiare", disse,
"nel suo contrario la natura di chi vi colpisce,
vi batterò ancora!". E percossi un'altra volta quei serpenti,
gli tornò il primitivo aspetto, la figura con cui era nato.
E costui, scelto come arbitro in quella divertente contesa,
conferma la tesi di Giove. Più del giusto e del dovuto al caso,
a quanto si dice, s'impermalì la figlia di Saturno e gli occhi
di chi le aveva dato torto condannò a eterna tenebra.
Ma il padre onnipotente (giacché nessun dio può annullare
ciò che un altro dio ha fatto), in cambio della vista perduta,
gli diede scienza del futuro, alleviando la pena con l'onore.
Così, diventato famosissimo nelle città dell'Aonia,
Tiresia dava responsi inconfutabili a chi lo consultava.
  
 La figura di Tiresia, però, ebbe fortuna anche dopo l'età classica. Nel Medioevo l'indovino tebano viene descritto da Virgilio nei versi di Dante Alighieri:

Mira c'ha fatto petto de le spalle:
perché volle veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.


Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne
cangiandosi le membra tutte quante;


e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.

 
 Siamo nel canto XX dell'Inferno, tra i maghi e gli indovini, colpevoli di adulterare le cose naturali con il loro intervento. Come contrappasso, i dannati sono condannati a vagare con la testa ruotata dietro la schiena, poiché in vita si erano spacciati come coloro che erano in grado di vedere oltre il presente.   
Maghi e indovini nell'Inferno dantesco

 Un'eco del celebre indovino tebano si ode anche nei versi del poema più importante del XX secolo, la Terra desolata di Thomas Stearns Eliot. Qui però Tiresia simboleggia la destituzione dell'indovino dalla propria sacra funzione; il veggente non riesce più a vedere il futuro, riesce solo ad annunciare la morte.


 Uomo, donna, cieco veggente, dannato con la testa rivolta dalla parte della schiena, indovino fallito. Il povero Tiresia ne ha passate di tutti i colori. Ecco perché, pur non essendo un vero e proprio protagonista nei miti greci, credo che meriti di essere conosciuto.



Fonti:
- Mitologia e...dintorni, voce "Tiresia";
- Wikipedia, voce "Tiresia";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Tiresia";
- OVIDIO, Le metamorfosi, in Mitologia e...dintorni
- ALIGHIERI, Dante, Divina Commedia.