domenica 19 ottobre 2014

Samain, ovvero Halloween

 Si sta avvicinando anche quest'anno, anche se con meno clamore. Qualche anno fa all'inizio di ottobre le vetrine strabordavano di zucche arancioni, gatti neri, pipistrelli e altre decorazioni per l'arrivo della festa più importante del momento: Halloween.

 Non c'è niente da fare, è difficile resistere alla moda. Specialmente quando viene da nazioni influenti come Gran Bretagna e Stati Uniti. Da piccola, nonostante non fosse ancora scoppiato il boom di questa festa, sono rimasta anch'io affascinata da Halloween quando ne ho sentito parlare per la prima volta dalla mia maestra d'inglese.
 Ora che sono cresciuta e che è diventata un'usanza piuttosto diffusa anche in Italia, la mia posizione su Halloween è un po' più complessa. Innanzi tutto detesto il marketing economico che si è sviluppato intorno ad Halloween in questi anni (e non lo sopporto nemmeno in prossimità del Natale, dell'Epifania o Pasqua).
 Eppure...a me Halloween piace. Nonostante non sia una festa puramente delle nostre zone (anche se effettivamente in Italia da qualche parte esistono delle usanze simili a quelle anglosassoni, cfr. "Le radici alpine di Halloween"), nonostante la speculazione economica. Se da bambina sono rimasta affascinata dai travestimenti e dal "dolcetto o scherzetto", ora quello che mi attrae è la storia di questa ricorrenza, legata strettamente al mondo celtico.

 Vorrei divulgare e riscoprire il vero senso di questa festa, spogliandola di tutti i pregiudizi e dei fronzoli economici. Ecco perché oggi non parlerò di Halloween, ma di Samain.  

 Le quattro feste celtiche

 In realtà, Samain, da cui deriverebbe Halloween, è solo una delle quattro feste celtiche diffuse in Gran Bretagna e Irlanda. Queste cadevano nei punti intermedi tra gli equinozi e i solstizi e in Irlanda venivano chiamate Imbolc, Beltain, Lúgnasad e Samain
 Le più importanti erano Beltain (1° maggio) e Samain (1° novembre), che dividevano l'anno nelle due stagioni celtiche: quella estiva e luminosa e quella invernale, gelida e buia.
 Imbolc (1° febbraio) e Lúgnasad (1° agosto), invece, rappresentavano il culmine rispettivamente della brutta e della bella stagione. 
 È bene ricordare che l'anno celtico iniziava con la stagione oscura, preludio necessario della stagione luminosa. Entrambe le due metà dell'anno, infatti, erano necessarie per compiere il naturale ciclo del tempo e rappresentavano l'idea di dualità alla base della concezione celtica del mondo: la realtà dunque si regge su opposizioni (come ad esempio luce-buio), che si succedono l'un l'altra in un ciclo eterno. Quindi se dapprima la luce è intrappolata nelle tenebre dell'inverno, in un secondo momento è destinata inevitabilmente a rispuntare.
 Ecco perché Samain era la festività che segnava il capodanno celtico, quella più importante.

Il ciclo dell'anno celtico rappresentato in Bifröst


 Etimologia

 Tale festività era chiamata Samain in antico irlandese, che si trasformava nel gaelico scozzese Samhuinn, nel mannese Houney e che nell'irlandese moderno viene detta Samhain.  
 Secondo l'ipotesi etimologica più semplice, la parola deriverebbe dall'indoeuropeo *SEM(Ǝ)- "estate", a cui si sarebbe aggiunto poi fuin, "fine", che porta a identificare la festività con la fine dell'estate.
 Un'altra ipotesi invece farebbe derivare il termine dalla radice indoeuropea *SEM-/*SOM-, "insieme", che indicherebbe le riunioni organizzate appositamente per celebrare la ricorrenza.

 Il capodanno celtico

 Quando pensiamo alla festa di capodanno ci immaginiamo una serata di divertimento, piena di buoni propositi e di speranza per il nuovo anno. 
 Nel mondo celtico, invece, Samain non indicava la nascita dell'anno nuovo, ma la sua morte. La luce dell'anno si spegneva nel giorno di Samain e si preparava a trascorrere sei lunghi mesi nelle profondità delle tenebre invernali per poi farsi rivedere solo a Beltain, il 1° maggio.  
 Questo momento di transizione non sanciva solo il passaggio dalla luce al buio, ma anche il passaggio da una realtà naturale a una soprannaturale, che culminava proprio nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre. Le barriere tra il mondo dei vivi e quello dei defunti, tra il mondo naturale e quello soprannaturale e magico dei síde venivano annullate, permettendo così agli esseri soprannaturali e agli spiriti di manifestarsi. Ecco perché in Irlanda, nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, la gente si guardava bene dall'uscire di casa ed evitava i cimiteri o luoghi affini. Le porte venivano accuratamente sprangate e, per tenere lontani gli spiriti malvagi, si ricorreva a una sorta di lumini ottenuti da cipolle svuotate e intagliate in modo che potessero emettere luce.
 Nonostante il timore verso gli esseri soprannaturali, però, era consuetudine anche preparare una piccola offerta di cibo da lasciare sulla soglia, affinché gli spiriti vaganti (soprattutto quelli dei parenti defunti), potessero sfamarsi. 

 Usanze antiche della notte di Samain

 La caduta delle barriere tra il mondo dei vivi e quello dei morti era percepita come un momentaneo ritorno al caos primordiale. Il disordine, la confusione di questa notte erano simboleggiati da diverse usanze, che contribuivano ad alimentare il timore della gente.
 I giovani impersonavano gli spiriti vaganti annerendosi la faccia oppure andando in giro vestiti di bianco, velati o coperti di paglia. Ciò voleva rappresentare l'annullamento della differenza tra vivi e morti durante quella notte.
 Un'altra differenza che cadeva a Samain era quella tra maschi e femmine: spesso infatti accadeva che i ragazzi si mascherassero da ragazze e viceversa.
 Nemmeno le proprietà terriere erano immuni da questo ritorno al caos. Quella notte era l'occasione per giocare brutti scherzi agli agricoltori: si rubavano cavalli e animali da cortile, si requisivano attrezzi da lavoro per buttarli negli stagni e si scagliavano ortaggi (rubati dai campi) contro le porte delle case.

 Samain però non significava solo scherzi di cattivo gusto. Il disordine coinvolgeva anche la dimensione temporale, eliminando le barriere tra presente, passato e futuro. Ecco perché a Samain era diffusa la pratica della divinazione, che avrebbe permesso di scoprire chi si sarebbe sposato o chi sarebbe morto durante l'anno nuovo. In Galles i più temerari potevano recarsi in una chiesa a mezzanotte per poter udire una voce che avrebbe svelato i nomi dei prossimi defunti, rischiando però di udire anche il proprio nome.




 I miti irlandesi

 Nella mitologia irlandese moltissimi avvenimenti importanti hanno luogo proprio nella ricorrenza di Samain. Qui ne citiamo alcuni: 
- il dio tribale Dagda Mór, uno dei membri più influenti dei Túatha Dé Dánann si unisce alla Morrigan, dea corvo della guerra e della fertilità; 
- viene combattuta la seconda mattaglia a Mág Tuired, che oppone i Túatha Dé Dánann ai terribili Fomori; 
- secondo alcune leggende, in questa notte una compagnia di eroi ubriachi, capitanata da Cú Chulainn, vaga insensatamente per le terre di Ériu; 
- muore Cú Chulainn, il più importante eroe irlandese; 
- il goblin Aillen dà fuoco al palazzo reale di Tara, minacciando così la più importante istituzione irlandese: la monarchia;
- aveva luogo il rito della triplice uccisione del re, che moriva per lasciare il posto a un nuovo monarca e alla futura primavera: prima il vecchio re era pugnalato, poi bruciato e infine affogato.
 Tutti questi eventi mitologici provano dunque l'importanza di Samain e della sua dimensione soprannaturale.

 Da Samain ad Halloween

 Con l'avvento del cristianesimo in Europa, Samain confluì nella festa cristiana dell'Ognissanti, spostata appositamente dal 13 maggio al 1° novembre da Papa Gregorio nell'835.
 Attualmente nei Paesi anglosassoni si conserva la traccia di Samain nella ricorrenza di Halloween, che precede l'Ognissanti. La parola deriva infatti dall'abbreviazione di All Hallows' Eve (vigilia del giorno dell'Ognissanti in inglese), che era proprio la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre.
 Halloween venne esportata in America nel XIX dagli emigranti irlandesi e si trasformò in una sorta di Carnevale dove i bambini, mascherati da fantasmi, streghe e diavoli, ricordavano gli spiriti vaganti della notte di Samain. Le cipolle irlandesi vennero sostituite dalle zucche intagliate, più diffuse negli Stati Uniti, in cui venivano poste delle candele.

 La leggenda di Jack O'Lantern

 Alla più moderna festività di Halloween è strettamente legata la storia di Jack O'Lantern, chiamato anche Lantern Man, Hob O'Lantern, Will O' The Wisp. Si trattava di Stingy Jack, un pigro fabbro irlandese che la notte del 31 ottobre incontrò il Diavolo, che lo voleva condurre all'inferno. Jack disse che gli avrebbe venduto la sua anima in cambio di un'ultima birra, così il Diavolo si trasformò in una moneta. Jack avvicinò la moneta a una croce d'argento che teneva in tasca, impedendo al Diavolo di riprendere le proprie sembianze. Quest'ultimo, disperato, fu costretto a promettere a Jack in cambio della libertà che non lo avrebbe più importunato per dieci anni.
 Così, dieci anni dopo, la notte del 31 ottobre il Diavolo si ripresentò al fabbro in una strada deserta. Jack accosentì a seguire il Diavolo, a patto che prima gli cogliesse una mela da un albero. Una volta che il Diavolo fu tra i rami, Jack incise una croce sul tronco dell'albero per impedirgli di scendere. Il fabbro allora gli intimò di rinunciare alla sua anima, se voleva scendere dall'albero. Il Diavolo fu costretto a cedere e rinunciò per sempre all'anima dell'astuto fabbro.
 Quando Jack morì, le porte del Paradiso gli furono precluse a causa della sua condotta licenziosa, ma non poté nemmeno accedere all'inferno, perché il Diavolo aveva promesso che non avrebbe mai posseduto la sua anima.
 Così, Jack dovette vagare per la terra come uno spirito errante, illuminando il proprio cammino con una lanterna ricavata da una cipolla intagliata con un lumino al suo interno.




 Ci sarebbe ancora molto da scrivere su questa festività, ma ho cercato di raccogliere le notizie più importanti per tornare al vero significato della ricorrenza.
 Nonostante la distanza geografica e i cambiamenti intercorsi nei secoli, Samain e Halloween restano collegate indissolubilmente al ricordo dei defunti. Alla fine, tra Halloween e Ognissanti non c'è una barriera invalicabile, ma molti punti in comune.
 Lasciamo dunque da parte le polemiche, e dedichiamoci piuttosto al ricordo di chi non c'è più, sia santi, sia semplici defunti.


 Fonti:
- Bifröst, area celtica: "Le quattro feste stagionali"; 
- Bifröst, area celtica: "I cicli e la dualità del tempo";
 - Bifröst, area celtica: "La storia di Jack O'Lantern";
- Discoveryalps, "Le radici alpine di Halloween", 26 ottobre 2005; 
- GREEN, Miranda Jane, Dizionario di mitologia celtica, Bompiani, Milano, 2003.

venerdì 10 ottobre 2014

Una cartolina dall'Africa - Miti della creazione made in Sudan

 Che cos'è l'Africa?
Tutti la conosciamo come il "continente nero", colonizzato a più riprese dalle grandi potenze europee che ospita deserti e popolazioni dalla pelle scura. Tante volte la varietà di questo enorme continente viene ridotta solo a immagini raffiguranti donne e bambini in condizioni di povertà e di malattia, mostrate nelle campagne televisive di sensibilizzazione. Per carità, ben venga l'utilizzo nobile del mezzo di comunicazione più potente che esiste per attirare l'attenzione sulle difficoltà di queste persone, che meritano tutto l'aiuto possibile.

 Ma l'Africa è solo questo?
 Ovviamente no, dietro alla denominazione geografica e antropologica c'è molto di più. Ma per la televisione, l'unica Africa esistente è quella malata, povera e sofferente, che serve a suscitare compassione nei telespettatori che sono invitati insistentemente a donare 2 euro dal personaggio famoso di turno che nemmeno sa dove si trova l'Egitto sulla cartina geografica. 
 Oppure, peggio ancora, l'Africa è quella che si vede nei telegiornali quando c'è qualche guerra che coinvolge gli Stati Uniti o qualche altro Paese europeo. Perché queste sono le guerre importanti, le sole di cui valga la pena parlare. Poi, finita la moda della guerra in Libia o della primavera araba negli stati nordafricani, torna il silenzio assoluto.

 Troppe volte ci dimentichiamo che la realtà è molto più complessa di quella che ci viene mostrata. Spesso siamo noi a dover indagare per ricordarci che non esiste una sola Africa, ma che ogni nazione possiede delle proprie peculiarità e una propria cultura, anche se i mezzi di comunicazione di massa non ce le mostrano. 

 Sono ben lontana dall'essere un'esperta di culture africane, intendiamoci, anch'io devo imparare tanto su questa terra. E per cominciare voglio riportare dei miti del Sudan, una grande nazione dell'Africa nordorientale a sud dell'Egitto. Dato che i primi esemplari umani ebbero origine proprio in Africa, vediamo come due popolazioni sudanesi hanno spiegato l'origine dell'uomo sulla terra.



Nel Sud del Sudan, lungo il Nilo, vivono gli Scilluc, che attualmente costituiscono il terzo gruppo etnico della nazione. Il loro mito racconta che la creazione dell'uomo fu opera di Jouk, il grande dio creatore. Un giorno, a Jouk venne l'idea di plasmare l'uomo dall'argilla e dichiarò:

 L'uomo avrà gambe lunghe come il fenicottero per correre, lunghe braccia per maneggiare la vanga , una bocca per alimentarsi con il miglio e una lingua per cantare. Inoltre avrà occhi per vedere ciò di cui si ciba e orecchie per ascoltare i canti melodiosi.

 Jouk dunque si mise all'opera e utilizzò tre tipi di argilla: con quella bianca, del Nord, fece gli europei; con quella bruna fece gli arabi; e infine, con quella nera fece gli africani.

 I Nubiani, invece, che vivono nell'area settentrionale del Sudan, spiegano in modo diverso le varie tonalità di colore della pelle.
 Secondo il loro mito, Dio si servì sempre dell'argilla, ma era indeciso su quanto tempo questa dovesse cuocere nel forno. 
 Siccome voleva che l'uomo fosse ben cotto, decise di lasciare l'argilla nel forno per lungo tempo. L'argilla si bruciò e ne uscì un uomo nero come la pece, che andò a vivere in Etiopia, la terra delle facce bruciate.
 Al secondo tentativo, Dio fece cuocere l'argilla per un tempo molto breve, perché non voleva che bruciasse, e ne risultò un uomo dalla carnagione pallida. Dio gli ordinò di popolare i Paesi del Nord.
 Alla fine, Dio cosse l'argilla per un tempo intermedio, di modo che la sua pelle fosse color terracotta. A costui venne concesso di abitare sulle sponde del Nilo, il luogo sacro dove Dio aveva creato l'uomo.



 Perché parlare proprio del Sudan? 
Dovete sapere che nel mio paesino esiste un'associazione chiamata "Sentieri di pace - Sud Sudan" che si impegna a sostenere una compaesana che, insieme ad altre persone, da anni si prende cura dei sud sudanesi, che vivono in una situazione di guerra ormai da tempo immemore. Qui la gente muore nel silenzio più completo, senza che ci sia nessun telegiornale a sbandierare il numero delle vittime.

 Per questo voglio dedicare il post a tutti coloro che si danno da fare realmente, che ogni giorno fanno sacrifici e si mettono in gioco in prima persona, anche se a livelli "ufficiali" il loro operato non viene riconosciuto.

 Inoltre, vorrei che questo post fosse un invito a smettere l'immagine esclusivamente compassionevole che spesso abbiamo dell'Africa, e che sia un'occasione per scoprire l'enorme ricchezza culturale di questo continente.

P.S. Per chi fosse interessato ai progetti dell'associazione, rimando al sito internet di Sentieri di pace - Sud Sudan, di cui inserisco il logo.

 


Fonti:
- KNAPPERT, Jan, "L'uomo creato con l'argilla" in BISSACA, Rosanna, PAOLELLA, Maria, Amici in biblioteca - Antologia italiana: mito, epica storia;
- Wikipedia, voce "Scilluc";
- Wikipedia, voce "Jok".