sabato 31 ottobre 2015

Il Día de Muertos - La risposta messicana ad Halloween

 Anche quest'anno arriva la fine di ottobre. È strano come in questo periodo, nonostante impegni vari, mi ritrovi comunque a scrivere sul blog. C'è qualcosa in questo periodo dell'anno che inesorabilmente mi attrae, qualcosa che forse non è visibile agli occhi. Ma ogni anno io sento l'esigenza di meditare, con l'arrivo di una stagione che non a caso aiuta l'introspezione. E l'occasione di solito si presenta in concomitanza con le festività imminenti del 1 e 2 novembre. Sicuramente non sono tra le festività più attese o celebrate da noi in Italia, ma io invece le trovo particolarmente coinvolgenti, perché possiedono una portata spirituale che secondo me è unica. Ecco perché, se l'anno scorso ho parlato delle origini celtiche della festa di Halloween (cfr. "Samain, ovvero Halloween" in questo blog), quest'anno voglio dedicare il post al Día de Muertos che si celebra in Messico nei primi due giorni di novembre e che è stato dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità nel 2003.



La concezione della morte nella Mesoamerica

 Prima di addentrarci nella festività vera e propria, è opportuno fare una breve digressione sulla concezione che le popolazioni mesoamericane avevano riguardo alla morte. Come nel resto del mondo, anche in America centrale la morte era vista come un momento emblematico nella vita dell'uomo. Essa, più che la fine della vita, costituiva un passaggio necessario per rinascere in un'altra vita, in una sorta di aldilà amerindio. 
 A questo proposito, occorre precisare che i concetti occidentali di inferno e paradiso presso queste popolazioni non sono collegati alla morale; infatti, la destinazione dei defunti non era determinata dalla condotta, ma dal tipo di morte subita. I seguenti luoghi che nomineremo sono tipice della tradizione religiosa azteca.

 Un primo esempio di regno oltremondano è il Tlalocan, il "paradiso di Tlaloc", dio della pioggia. Chiunque moriva in circostanze dove fosse presente l'acqua (gli affogati o chi era colpito da un fulmine), i bambini sacrificati a Tlaloc o chi era affetto da malattie riconducibili all'acqua (come la scabbia, l'idropisia, la gotta, ecc.) dopo la morte riposava qui, in un regno tranquillo e prospero. I morti destinati a Tlaloc non venivano cremati, come si era soliti fare, ma venivano sepolti, come dei semi che dovessero germogliare.  



 Un'altra destinazione possibile per i defunti era Omeyocán, il paradiso del sole, dove regnava il dio Huitzilopochtli, protettore della guerra. Qui dunque arrivavano i morti in battaglia, i prigionieri sacrificati e anche le donne morte di parto. Tale momento, nella vita di una donna azteca, era infatti cosiderato al pari di una battaglia e le donne erano importanti quanto i guerrieri in queste circostanze. Ecco perché chi moriva di parto veniva sepolta nel cortile del palazzo, per permetterle di accompagnare il sole nel suo percorso dallo zenit fino a ponente, in cui l'astro iniziava il suo cammino occulto. Sicuramente dimorare nell'Omeyocán era un privilegio; in questo regno vi erano sempre feste, canti e balli per onorare il sole. Inoltre, i defunti dell'Omeyocán dopo quattro anni tornavano sulla terra nelle sembianze di uccelli dalle piume variopinte. Possiamo dire quindi che tra gli Aztechi (o Mexica) la morte lasciava spazio anche a un sentimento di speranza e di gioia, poiché vi era la possibilità di accompagnare il sole durante il suo corso quotidiano e di tornare tra i vivi.



 Un destino totalmente diverso aspettava invece chi moriva di morte naturale, che si dirigeva verso Mictlán, il regno di Mictlantecuhtli e Mictecacihuatl, il signore della morte e sua moglie. Prima di giungervi, però, per quattro anni le anime dei morti dovevano attraversare diversi luoghi per poi arrivare a Chicunamictlán, dove potevano finalmente riposarsi e dissolversi. Per aiutare il defunto in questo cammino tortuoso, insieme al corpo veniva seppellito anche un cane di razza xoloitzcuintle, che avrebbe aiutato il morto ad attraversare un fiume per arrivare al cospetto di Mictlantecuhtli. Il defunto doveva donare al signore della morte delle fiaccole, del profumo, cotone, fili colorati e coperte. L'offerta veniva ricompensata in seguito con il dono al morto di quattro frecce e quattro fiaccole legate con filo di cotone. 



 Ai bambini era riservato un luogo speciale, chiamato Chichihuacuauhco, dove cresceva un albero prodigioso, dai cui rami gocciolava latte per alimentare i piccoli. I defunti giunti in questo posto in tenera età sarebbero rimasti fino alla distruzione degli abitanti che risiedevano sulla terra. Una volta eliminata la generazione precedente di terrestri, i bambini sarebbero tornati sul pianeta per ripopolarlo.







 Tra i Maya, invece, era diffusa la credenza nel regno dell'inframondo di Xibalbá. Come per gli Aztechi, anche per i Maya il defunto doveva superare un fiume con l'aiuto di uno xoloitzcuintle per arrivare a destinazione. Anche in questo caso, dunque, il defunto era sepolto con un cane senza pelo.  

 Oltre ai cani, però, le popolazioni amerindie avevano l'abitudine di seppellire con il defunto oggetti vari, che erano stati utilizzati dal morto nel corso della propria vita e che gli sarebbero stati necessari anche nella nuova: strumenti musicali di terracotta, sculture delle divinità dell'oltretomba, incenso, teschi di giada e altri materiali, ecc. All'idea di morte, quindi, era strettamente associata quella di vita, in un dualismo che reggeva l'equilibrio del cosmo amerindio.  
 
 Le radici precolombiane

 La celebrazione di una festività in commemorazione dei defunti era presente nell'area mesoamericana già prima dell'arrivo dei coloni spagnoli. Culti in onore della morte erano presenti presso varie civiltà amerindie, come Maya, Aztechi, Purepecha e Totonaca.
 La festività che in seguito sarebbe stata incorporata alla pratica cristiana dell'Ognissanti si celebrava durante il nono mese del calendario azteco che corrispondeva grosso modo al mese di agosto. Per circa trenta giorni la dea Mictecacihuatl, la "Signora della Morte", presiedeva ai rituali in onore dei bambini e dei parenti passati a miglior vita. Con l'avvento dei coloni europei la data di questa festa venne fatta coincidere con il giorno dell'Ognissanti per facilitare la conversione dei nativi al cattolicesimo.

 Ma oltre a questa vi erano altre ricorrenze volte a commemorare i defunti. Una di queste per esempio era Miccailhuitontli, che iniziava il 16 luglio (nel mese azteco di Tlaxochimaco) e che era dedicata ai defunti in tenera età. Il taglio dell'albero di xócotl dava inizio ai festeggiamenti: si toglieva la corteccia e tutti provvedevano a decorare l'albero con fiori. Inoltre, per 20 giorni si presentavano offerte sacrificali all'albero.

 Nel decimo mese del calendario azteco, nel giorno corrispondente circa al 5 di agosto,  si celebrava la festa dei defunti adulti, chiamata Ueymicailhuitl. In occasione di questa festività si svolgevano delle processioni che avevano come meta l'albero di xócotl e la gente girava intorno alla pianta. I rituali erano accompagnati da sacrifici umani, banchetti e danze. Il momento culminante della festa era quando dei giovani dovevano arrampicarsi in cima all'albero per togliere un'immagine realizzata con la pianta di amaranto che era stata posta in precedenza sulla sommità dello xócotl. Una volta tolta l'immagine, la festa era finita e l'albero veniva abbattuto. Durante i giorni di Ueymicailhuitl la popolazione era solita erigere dei piccoli altari in onore dei propri defunti, che costituiscono gli antenati degli attuali altari.

 Il culto attuale

 Con l'arrivo degli spagnoli nel territorio messicano, la religione cattolica dei conquistatori e le usanze preesistenti delle popolazioni locali si mescolarono e diedero vita a uno degli esempi più interessanti di sincretismo religioso: il Día de Muertos.
 I festeggiamenti si celebrano il 1° e il 2 novembre, coincidenti rispettivamente con le festività cattoliche di Ognissanti e del giorno dedicato ai defunti. Durante questi giorni i messicani aspettano che le anime dei loro cari passati a miglior vita ritornino sulla terra per celebrare con loro la ricorrenza. Quindi, a differenza di Halloween, in questo caso le anime dei defunti non sono percepite come una minaccia e il loro ritorno momentaneo sulla terra rappresenta un'occasione da festeggiare. Il primo giorno di novembre è dedicato alle anime dei bambini, mentre durante il secondo sono le anime degli adulti che fanno visita ai vivi.
 I segni per celebrare questo evento sono diversi. Innanzi tutto, un elemento imprescindibile è rappresentato dalle offerte di cibi che il defunto prediligeva in vita, accompagnati dalle calaveritas, dei dolci di zucchero dalla forma di teschio. Le famiglie portano le loro offerte alle tombe dei loro cari e le decorano con ghirlande di fiori oppure, se il luogo della sepoltura è difficile da raggiungere preparano veri e propri altarini con la foto del defunto, allestiti sempre con dolci, frutta, le calaveritas e fiori variopinti. Nelle decorazioni non possono mancare candele, ceri e incenso, che hanno lo scopo di aiutare l'anima del defunto a trovare la via del ritorno. Per quanto riguarda i fiori, se in Italia sono i crisantemi a farla da padrone, in Messico spopolano i cempasúchil, conosciuti da noi con il nome di tageti. Questo perché presso le antiche civiltà mesoamericane il giallo era il colore della morte e le tonalità vivaci dei tageti evocano il simbolismo amerindio. Un altro dolce tipico di questa ricorrenza è il cosiddetto pan de muerto, che di solito ha una forma rotonda, è coperto di zucchero e ha delle decorazioni che somigliano a ossa. Infine, bisogna ricordare che le calaveritas, oltre a essere dolci di zucchero, sono anche dei brevi componimenti in rima di tono umoristico che hanno come tema principale la morte, probabilmente con l'intento di esorcizzarla. Anche La Catrina, uno scheletro vestito con abiti degni di una signora dell'alta società, testimonia la volontà di sdrammatizzare tutto ciò che è legato alla morte.    



 Tutti gli uomini temono la morte, ma ogni cultura la celebra in un modo diverso. Forse questa può essere l'occasione per smettere di vedere questo avvenimento solo come qualcosa di terribile e spaventoso. Oggi i messicani ci insegnano che alla tristezza di una perdita segue sempre la gioia del ritrovo e del ricongiungimento, anche se momentaneo. Perché la morte non è solo fine, è anche un nuovo inizio.      



Fonti: